Ricevo e Ripubblico sul mio blog personale la riflessione dell'amico Alessandro Mortarino sul comune amico e compagno di merende Gino Scarsi.
Gino Scarsi riceve una citazione per terrorismo ecologico
Proprio così; terrorismo ecologico e una richiesta di risarcimento danni pari a 50 mila euro ... L'accusa arriva dall'azienda di Canale (provincia di Cuneo) Vigolungo SpA, rivolta a Gino Scarsi, primo firmatario della nostra campagna nazionale per lo Stop al Consumo di Territorio, ai margini di una vicenda che aveva visto l'azienda protagonista della richiesta di autorizzazione di un impianto a biomasse. Le caratteristiche dell'impianto avevano subito fatto preoccupare i cittadini di Canale (e dei comuni limitrofi) e mosso una immediata azione "dal basso" per richiedere massima trasparenza all'iter autorizzativo e assoluta attenzione alla tutela dell'ambiente e della salute. Dopo lunghi dibattiti, la specifica Conferenza dei Servizi aveva bocciato la richiesta dell'azienda. Che, evidentemente, non deve averla digerita ...
Nella citazione, Gino viene accusato di essere colpevole di una campagna contro la Vigolungo finalizzata ad un puro interesse personale; secondo l'azienda, tutte le prese di posizione assunte nella vicenda da Gino sono state dettate da "evidenti e scontati motivi politico-elettorali" e "dall'esclusiva finalità di generare un bacino di consenso attorno alla propria persona anche a costo di generare un vero terrorismo ecologico" ...
Chi conosce Gino Scarsi sorriderà dell'accusa, che accusa resta pur sempre, in base alla citazione del Tribunale di Alba.
E chi ha seguito dal nascere la vicenda dell’impianto a biomasse della Vigolungo conosce la grande partecipazione di massa che ha coinvolto i cittadini di Canale e dintorni. Ben cinquemila firme raccolte a Canale e nel Roero contro la centrale. Tanti, tantissimi. Non soltanto … Scarsi !
L'accusa è talmente generica da farci stupire. E altrettanto irrisorie ci paiono le ulteriori "prove" che la Vigolungo SpA adduce per motivare le colpevolezze di Gino Scarsi.
Ad esempio le lettere pubblicate dal giornale "La Gazzetta d'Alba", in cui Scarsi riferisce che "le emissioni in atmosfera dei due camini alti trenta metri previsti a Canale possono interessare sino a otto chilometri di territorio coinvolgendo così i Comuni di San Damiano, Castellinaldo, Castagnito, Cisterna, Vezza Montà, Santo Stefano e Monteu Roero".
Oppure che "quelle due ciminiere sono due cannoni puntati su Canale e Roero" e che "è vero che le polveri pesanti le fermano con i filtri, ma quelle leggere ? Sono le cosiddette nanoparticelle impossibili da intercettare perchè si formano dopo i filtri invisibili e leggere che si disperdono a chilometri e chilometri e che la natura non riesce a metabolizzare. Entreranno subdolamente nella catena alimentare e se respirate dai polmoni passeranno direttamente nel sangue dando vita a focolai che sovente si trasformano in forme cancerogene nei vari organi. Il 10 % della popolazione è vulnerabile all'attacco delle nanopolveri e queste faranno danni ancora ai nostri figli e nipoti perchè sono persistenti e si trasmettono anche per via fetale".
L'azienda si scaglia anche contro un'affermazione di Gino apparsa su un giornale locale: "Vigolungo ha avuto nel tempo maestranze cinesi, mai uno sciopero" ed ha potuto godere di una "tolleranza complessiva su emissioni paurose". Frasi che nella citazione vengono così commentate dall'azienda: "Scarsi ha accusato direttamente Vigolungo SpA di sfruttamento della manodopera e di produrre emissioni contrarie alle legge, godendo di una non meglio precisata tolleranza da parte delle pubbliche autorità".
Il comportamento antisindacale è stato richiamato da Scarsi anche in altra occasione pubblica, in cui, parlando dell’affidabilità dell’azienda in rapporto ai materiali da bruciare nella futura centrale, ricordava sia l’aspetto positivo rappresentato dall’azienda nei cinquant’anni trascorsi, sia quello negativo: emissioni di fumi neri mefitici e atteggiamento antisindacale (licenziamento di una Lavoratrice della Vigolungo per il solo fatto di avere “fatto la tessera Cisl”).
Il 23 Marzo è prevista la prima udienza, la nostra sensazione è che l'azienda abbia intenzione di dimostrare ai cittadini che non è bene schierarsi contro le esigenze economiche di un gruppo imprenditoriale e che chi lo fa rischia in proprio: un modo cortese che ci ricorda tanto la sventagliata di un mitra sulle folle ...
A Gino Scarsi tutto il nostro sostegno. Morale, fisico, finanziario: siamo pronti a farci sentire e a contribuire alla sua difesa.
Perché se l'azienda davvero intende far tacere le voci libere della cittadinanza attiva, il problema ci riguarda tutti.
E questa causa deve essere una questione pubblica.
La Democrazia è affare nostro, di tutti.
Che anche le aziende ne siano informate ...
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sabato 4 dicembre 2010
domenica 12 settembre 2010
Il digiuno
Il digiuno può salvarvi la vita
Marcello Pamio – 18 giugno 2009
Prima di spiegare cos’è il digiuno e perché è importante, è necessario comprendere cos’è la malattia.
A tal proposito e per completezza, vi invito a leggere l’articolo “La malattia: amica o nemica?” del dottor Sebastiano Magnano.
In estrema sintesi, dal punto di vista igienistico, il “sintomo” (ufficialmente chiamato “malattia”) è il tentativo ultimo della Natura, cioè dell’organismo, di eliminare tutte le tossine (alimentari, metaboliche, emozionali, ecc.) che hanno inquinato il corpo.
Il costante avvelenamento
Le tossine entrano nella circolazione sanguigna principalmente attraverso:
1) Tossiemia esogena, cioè esterna, provocata da alimenti nocivi (combinazioni errate, fermentazioni, putrefazioni intestinali) o sostanze estranee all’organismo (microbi, batteri, ecc.)
2) Tossiemia endogena, cioè interna, di origine cellulare per la ritenzione di metaboliti. In ogni momento i tessuti (cellule, ecc.) vengono distrutti nel processo chiamato “catabolismo”. Questi sono rifiuti tossici che devono essere espulsi quanto prima dal corpo.
L’avvelenamento, sia per opera di cibi tossici e/o combinazioni errate, sia nel caso dei tessuti distrutti, in un organismo sano, forte e in buona salute, viene ridotto ed eliminato dal sangue rapidamente. Quando invece l’energia nervosa non è sufficiente, il sistema di eliminazione non funziona correttamente provocando la ritenzione delle tossine e la costante intossicazione del sangue e dei tessuti. Nel momento in cui tale intossicazione supera una soglia di tolleranza, scatta immediatamente la malattia.
L’energia nervosa
Il troppo freddo o caldo, le preoccupazioni, i traumi, la digestione appesantita, gli sforzi mentali e fisici, la paura, gli eccessi emozionali, la rabbia, il non riposo, ecc. sono tutte condizioni che a lungo andare snervano l’essere umano e disperdono l’energia corporea.
Quando l’energia individuale si abbassa e raggiunge un certo livello (unico ed individuale per ogni persona), viene ritardata l’eliminazione delle tossine, dei rifiuti tossici, con conseguente deposito di scorie e tossine che causano autoavvelenamento.
La zona o l’organo dove avviene il maggior deposito di scorie dipende da persona a persona, dipende dalla costituzione, da eventuali predisposizioni (non certo genetiche, ma epigenetiche, quindi ambientali), dalla zona a “minor resistenza”, ecc.
Qualcuno potrà vedere interessate le articolazioni (artrosi, reumatismi, gotta, ecc.), qualcun altro un organo specifico (fegato --> cirrosi, polmoni --> polmonite, reni --> nefrite, stomaco --> gastrite, arterie --> ipertensione), ecc.
Malattia e sintomo
Nonostante queste differenze di locazione il concetto di malattia non cambia: si tratta sempre di una “eliminazione vicariante” operata dal corpo per espellere le tossine e diminuire la pericolosa saturazione tossica.
Sembrerà strano, ma tutti i fattori esterni a noi (freddo, caldo, microbi, virus, batteri, alimenti, ecc.) non possono causare di per sé la malattia, a meno che non provochino snervamento e indebolimento dell’energia vitale, la cui conseguenza è il ritardo nella espulsione delle tossine.
Se e solo se, il sangue si satura di tossine, interviene “l’eliminazione vicariante” detta malattia (o sintomo)!
Quindi in quest’ottica, la malattia altro non è che la Natura stessa che interviene di prepotenza, per liberare il carico tossico dal corpo, e segnalarci che siamo usciti dai binari di una vita sana e naturale.
Il nostro stile di vita globale (alimentazione, mondo dei sentimenti, mondo dei pensieri, le cose che diciamo e come le diciamo, ecc.) viene messo in discussione. Sta a noi comprenderlo e accettarlo, oppure possiamo sempre girare la testa dall’altra parte e prendere la medicina, il prodotto naturale, il farmaco omeopatico, ecc.
Tutte cose che nel bene (medicine naturali) e nel male (farmaci tossici) interferiscono con il meccanismo messo in atto dalla Natura.
STRESS AMBIENTALE – ABITUDINI QUOTIDIANE ERRATE
TRAUMI (FISICI-MENTALI-EMOZIONALI)
INDEBOLIMENTO
ELIMINAZIONE INSUFFICIENTE E RITENZIONE DI TOSSINE
TOSSIEMIA
MALATTIA
Irritazione > Infiammazione > Indurimento > Ulcerazione > Fungosità (cancro)
Qui sopra, dal diagramma codificato dal dottor J.H. Tilden (1851-1940) che esemplifica l’andamento della malattia, si può evincere che la malattia viene sempre dopo una tossiemia generalizzata, e la tossiemia viene sempre dopo un indebolimento energetico causato dallo stile di vita errato (alimenti tossici come le proteine animali, le combinazioni errate, una vita sregolata, poco riposo, ecc.)
Se tutto parte da un indebolimento generale e generalizzato, è logico che il riposo (mentale, fisico, emozionale) è basilare, e infatti in quest’ottica il digiuno è uno degli strumenti chiave.
Virus e batteri
Che ruolo hanno in tutto questo i batteri e virus? Sono esseri così tremendi da dover combattere con ogni strumento?
In questa visione, non sono certo da demonizzare, visto che il nostro corpo è praticamente colonizzato da miliardi di microrganismi, per non parlare dei virus (informazione ricoperta da una proteina) che sono all'ordine del giorno.
Nonostante quello che viene insegnato nelle scuole di medicina, i pericoli non arrivano dall'esterno se il corpo è sano e forte. Un qualsiasi organismo in perfetta salute "resiste" a qualsiasi "entità estranea", mentre un corpo malato, indebolito da pratiche debilitanti (stress, traumi, alimentazione, ecc.) soccombe a qualsiasi cosa.
I microbi sono dei saprofiti, vale a dire che si nutrono delle materie organiche morte o morenti. In questa maniera se i tessuti si trovano in uno stato tossiemico tale da necessitare una pulizia, allora agiscono positivamente in favore della salute.
Se i tessuti sono sani, ossigenati e nutriti correttamente, il corpo ha numerosi sistemi (pelle, mucose, secrezioni battericide, globuli bianchi, proteine, fegato, milza, linfociti, ecc.) per distruggere i microrganismi che accidentalmente arrivano dall'esterno (cibo, acqua, respirazione, ferite, ecc.).
I microrganismi interni, quindi, vengono "attivati" e/o "disattivati" dal nostro terreno biologico e fungono da veri e propri "spazzini" che aiutano a "pulire" il corpo in determinate situazioni patologiche. Gli antibiotici ("anti-bios" = contro la vita, contro la Natura) per esempio, distruggono tutte le forme di vita, impedendo ai microbi di lavorare e alla Guarigione di manifestarsi.
Cos’è il digiuno?
Diciamo subito che il digiuno non è una cura e nemmeno una terapia: è “semplicemente” il riposo fisiologico dell’organismo!
Parlare di “digiuno-terapia”, in termini odierni, non sarebbe molto corretto, a meno ché non s’intenda per terapia il complesso processo di autoguarigione (che però vedremo tra poco).
L’economica della Natura
La Natura si sa, non spreca nulla.
L’organismo umano normale è fornito di una scorta di materiali nutritivi messi da parte sotto forma di grasso, midollo osseo, glicogeno, estratti muscolari, latte, minerali, vitamine, ecc.
Sembrerà impossibile, ma un corpo in buona salute possiede immagazzinata una scorta nutritiva appropriata e sufficiente per superare giorni, settimane e anche alcuni mesi senza cibo.
Se non ci si alimenta, il corpo si avvale di queste riserve per nutrire i tessuti, e quando queste si esauriscono sopravviene il vero e proprio dimagrimento.
Nel sangue, linfa, ossa, specialmente nel midollo osseo, nel grasso, nel fegato e nelle altre ghiandole, persino nelle cellule vi sono riserve di proteine, grassi, zuccheri, minerali e vitamine da utilizzare nei momenti di scarsezza.
Quindi l’organismo a digiuno non verrà danneggiato dall’astinenza se e solo se le riserve saranno sufficienti a soddisfare i bisogni nutritivi dei tessuti e/o organi primari (cervello, polmoni, cuore, sistema nervoso, ecc.).
Per esempio, il glicogeno (amido animale), immagazzinato nel fegato, a bisogno viene trasformato in zucchero e distribuito ai tessuti a seconda le necessità.
Migliaia di esperimenti su persone hanno stabilito che durante il digiuno i tessuti si consumano in ordine inverso alla loro importanza: il grasso è il primo tessuto a scomparire (scompare il grasso dai muscoli, ma il muscolo mantiene la sua integrità ed una forza sorprendente).
Certamente l’organismo a digiuno cala di peso, ma tale perdita, anche se per un periodo prolungato, coinvolge le riserve e non i tessuti organici.
Infine, la perdita di peso varia a seconda del carattere e della qualità dei tessuti, dell’attività fisica ed emotiva svolta, della temperatura esterna, ecc.
Gli stress emotivi, l’attività fisica, il freddo e i tessuti scadenti accelerano il processo del calo di peso.
La regola importante è “in salute o in malattia, mai forzare del cibo nello stomaco”
Nelle malattie acute
Nelle malattie acute (infiammazioni, dolori, febbre, ecc.) la fame non si presenta perché le energie devono essere indirizzate verso altre direzioni piuttosto che “sprecate” per la digestione.
L’energia viene deviata dagli organi digestivi verso il lavoro più urgente, e anche il sangue fa la stessa cosa: viene dirottato verso quelle zone che ne richiedono in quantità.
Vi è assenza di succhi gastrici e le pareti del sistema digestivo secernono muco in quantità; i movimenti muscolari dello stomaco vengono sospesi e viene quindi meno la capacità di digerire il cibo.
Non si deve mangiare durante una crisi acuta, sia perché non si digerirebbe correttamente provocando fermentazioni e/o putrefazioni, ma anche perché il digiuno allevia il dolore e alleggerisce il carico di organi come reni e cuore.
Negli stati febbrili, i medici napoletani di 150 anni fa, facevano digiunare! Oggi? Il medico prescrive tachipirina, novalgina, aspirina, e altri veleni tossici per l’organismo.
Saltare qualche pasto, quando si presentano i primi sintomi, spesso è sufficiente a prevenire lo sviluppo di malattie più serie.
Nelle malattie croniche
Nelle malattie croniche una persona tende a credere di aver fame, ma le sue sensazioni sono solo irritazioni del tratto digestivo. Questi sintomi scompaiono quando si digiuna.
Durante il digiuno si accelerano i processi escretori che liberano velocemente il corpo dalle scorie e tossine che sono causa del disturbo
Nell’anemia e nel diabete, non si può intraprendere il digiuno da soli, ma serve la guida di un esperto igienista
Quattro buone ragioni per digiunare
1- Dimagrimento. Il digiuno è la strada più veloce, sicura ed efficiente per dimagrire.
2- Compensazione fisiologica. Quando si deve digerire un cibo una grande quantità di sangue deve affluire agli organi digestivi e l’organismo conseguentemente tende ad essere pigro, ad addormentarsi. Se si svolge un lavoro pesante, il processo digestivo è praticamente sospeso. Digiunare, conservando le energie digestive, permette di deviarle verso altri canali e quindi di svolgere altri lavori.
3- Riposo fisiologico. Il digiuno permette il riposo del sistema digestivo, ghiandolare, circolatorio, respiratorio, nervoso. Più cibo viene ingerito, maggiore è il lavoro che deve essere svolto dagli organi che formano tali sistemi; in presenza di un digiuno questi organi si riposano. Le ghiandole della bocca e dello stomaco, il tubo digestivo, il fegato e il pancreas non devono lavorare. Il cuore, le arterie si alleggeriscono e riposano. Le ghiandole, all’infuori di quelle che scernono succhi digestivi, riducono la loro attività secretrice. La respirazione rallenta e il sistema nervoso lavora di meno.
4- Eliminazione. Il dottor J. H. Tilden: “Dopo 55 anni trascorsi nel selvaggio mondo delle terapie mediche, sono costretto a dichiarare, senza paura di essere smentito, che il digiuno rappresenta l’unico evacuatore terapeutico sicuro per l’uomo”
Il dottor Felix L. Oswald: “Il digiuno rappresenta il migliore sistema rinnovatore. Tre giorni di digiuno all’anno purificano il sangue ed eliminano i veleni più efficacemente di cento bottiglie di soluzioni purgative”.
Non esiste niente altro che al pari del digiuno che sia in grado di aumentare l’eliminazione delle sostanze di rifiuto dal sangue e dai tessuti.
Le secrezioni represse o i rifiuti trattenuti vengono espulsi dall’organismo ed il sistema risulta purificato. Servono pochi giorni per liberare il sangue e la linfa dalle tossine, ma il digiuno prosegue nella sua azione e provoca l’espulsione delle tossine che da molto tempo erano depositate nei tessuti meno importanti (grasso, organi, ecc.)
Il digiuno costringe il corpo a consumare (autolisi) tutti i tessuti superflui e le scorte nutritive utilizzandole per sostenere i tessuti principali. In questo senso le tossine immesse in circolazione potranno essere espulse dagli organi escretori.
L’escrezione
L’escrezione è una delle funzioni fondamentali della vita ed è essenziale per l’esistenza stessa. L’organismo per mantenersi in vita deve: ASSIMILARE, CRESCERE, ESCRETARE
Abbiamo visto prima che vi è un continuo sforzo da parte dell’organismo di espellere le tossine accumulate, i rifiuti organici e inorganici (metabolismo: anabolismo e catabolismo).
Tutto quello che il corpo non può utilizzare come cibo deve essere espulso dal corpo.
Le energie dell’uomo sono divise sempre tra ASSIMILAZIONE ed ELIMINAZIONE.
Durante il digiuno (sospensione dell’alimentazione) l’eliminazione degli scarti, delle tossine raggiunge livelli unici.
Il riposo da solo aumenta l’eliminazione, anche se non agli stessi livelli.
Tutto ciò che diminuisce il lavoro dell’organismo aumenta quello dell’eliminazione
Forza ed energia durante il digiuno
Per quanto paradossale possa apparire, le persone deboli traggono i maggiori benefici da periodi di astinenza dal cibo, anche perché, la debolezza di solito, non è dovuta a mancanza di cibo ma ad una condizione di intossicazione dell’organismo e da una cattiva assimilazione.
Il digiuno può curare?
Il termine “cura” deriva dal latino che significava “attenzione”, “cautela”.
Oggi ovviamente ha un altro significato.
Il digiuno non “cura” nulla: è un periodo di riposo fisiologico, l’interruzione di ogni fatica.
Il riposo fornisce all’organismo l’opportunità di fare da solo quello che non riesce a fare in completa attività.
Solo quando le cause vengono eliminate e/o bloccate, il corpo, DA SOLO, può iniziare a guarire. Rimuovere le cause NON significa guarire, significa rendere possibile che i processi ristoratori, rigeneratori, perfezionino il loro operato.
Questo operato si chiama AUTOGUARIGIONE
Guarire, a differenza di curare, è un processo biologico, NON è un’arte.
Un chirurgo può cucire una ferita ma non può guarirla, può mettere insieme le estremità di un osso rotto ma non può unire o saldare le due parti. SOLO l’organismo può fare questo.
Guarire è un processo naturale
Ogni GUARIGIONE è in realtà solo AUTOGUARIGIONE e per tanto il digiuno non è una cura.
In quanto riposo fisiologico, il digiuno permette all’organismo di autoguarirsi, fornendo al corpo l’opportunità di lavorare con meno sforzi.
Alcune cosa da sapere nel digiuno
1- Quando si inizia a digiunare quasi inevitabilmente si presentano sviluppi fisici che non devono allarmare: lingua bianca, bocca e alito cattivo, denti impastati, mal di testa, ecc.
Sono tutte condizioni che rappresentano il processo purificatore. Appena il corpo scarica il suo fardello tossico, inizia il processo di purificazione della lingua, prima la punta e poi sui lati e alla fine bocca e lingua puliti.
2- L’urina può diventare scura, quasi nera, dall’odore forte, anche se si beve solo acqua. Indice del lavoro renale di eliminazione.
3- La perdita di peso è dovuta all’utilizzazione delle riserve organiche
4- La debolezza è dovuta all’inattività funzionale. Si è molto rilassati, il cuore e la respirazione rallenta, la circolazione si calma. La debolezza iniziale è dovuta all’assenza della “solita stimolazione”: caffè, ecc.
5- L’aspetto più noioso forse è rappresentato da nausee e vomito, che però sono importanti crisi purificatorie.
6- Il riposo (fisico e mentale) è fondamentale.
7- L’esercizio fisico all’aria aperta moderato è molto importante
8- Il raffreddamento inibisce l’eliminazione, per cui bisogna stare al caldo.
9- Bere acqua fresca pura, non fredda.
10- I bagni di sole sono un fattore nutritivo di grande aiuto nel digiuno, basta non abusarne.
11- Niente purganti durante il digiuno
L’interruzione del digiuno
Il momento ideale per interrompere il digiuno è quando si manifesta il ritorno della fame.
La lingua è pulita e l’alito è sano.
L’interruzione e la ripresa alimentare è fondamentale per non vanificare il tutto.
Si può riprendere mangiando cibi leggeri come frutta e verdure. Tre pasti al giorno, semplici e non ricchi, formati da cibi freschi.
DAL SITO WWW:DISINFORMAZIONE.IT uno dei siti più belli che io abbia consultato negli ultimi anni.
Bibliografia:
"Il digiuno può salvarvi la vita", dottor Herbert Shelton, ed. Manca
"La Tossiemia causa primaria di malattia" dottor J.H. Tilden, ed. Manca
"Tossiemia e la disintossicazione" di Emanuele Dimauro, tratto da "Igiene Naturale e Salute", nr.78-79-80, aprile 2009 Leggi il resto del articolo......
Marcello Pamio – 18 giugno 2009
Prima di spiegare cos’è il digiuno e perché è importante, è necessario comprendere cos’è la malattia.
A tal proposito e per completezza, vi invito a leggere l’articolo “La malattia: amica o nemica?” del dottor Sebastiano Magnano.
In estrema sintesi, dal punto di vista igienistico, il “sintomo” (ufficialmente chiamato “malattia”) è il tentativo ultimo della Natura, cioè dell’organismo, di eliminare tutte le tossine (alimentari, metaboliche, emozionali, ecc.) che hanno inquinato il corpo.
Il costante avvelenamento
Le tossine entrano nella circolazione sanguigna principalmente attraverso:
1) Tossiemia esogena, cioè esterna, provocata da alimenti nocivi (combinazioni errate, fermentazioni, putrefazioni intestinali) o sostanze estranee all’organismo (microbi, batteri, ecc.)
2) Tossiemia endogena, cioè interna, di origine cellulare per la ritenzione di metaboliti. In ogni momento i tessuti (cellule, ecc.) vengono distrutti nel processo chiamato “catabolismo”. Questi sono rifiuti tossici che devono essere espulsi quanto prima dal corpo.
L’avvelenamento, sia per opera di cibi tossici e/o combinazioni errate, sia nel caso dei tessuti distrutti, in un organismo sano, forte e in buona salute, viene ridotto ed eliminato dal sangue rapidamente. Quando invece l’energia nervosa non è sufficiente, il sistema di eliminazione non funziona correttamente provocando la ritenzione delle tossine e la costante intossicazione del sangue e dei tessuti. Nel momento in cui tale intossicazione supera una soglia di tolleranza, scatta immediatamente la malattia.
L’energia nervosa
Il troppo freddo o caldo, le preoccupazioni, i traumi, la digestione appesantita, gli sforzi mentali e fisici, la paura, gli eccessi emozionali, la rabbia, il non riposo, ecc. sono tutte condizioni che a lungo andare snervano l’essere umano e disperdono l’energia corporea.
Quando l’energia individuale si abbassa e raggiunge un certo livello (unico ed individuale per ogni persona), viene ritardata l’eliminazione delle tossine, dei rifiuti tossici, con conseguente deposito di scorie e tossine che causano autoavvelenamento.
La zona o l’organo dove avviene il maggior deposito di scorie dipende da persona a persona, dipende dalla costituzione, da eventuali predisposizioni (non certo genetiche, ma epigenetiche, quindi ambientali), dalla zona a “minor resistenza”, ecc.
Qualcuno potrà vedere interessate le articolazioni (artrosi, reumatismi, gotta, ecc.), qualcun altro un organo specifico (fegato --> cirrosi, polmoni --> polmonite, reni --> nefrite, stomaco --> gastrite, arterie --> ipertensione), ecc.
Malattia e sintomo
Nonostante queste differenze di locazione il concetto di malattia non cambia: si tratta sempre di una “eliminazione vicariante” operata dal corpo per espellere le tossine e diminuire la pericolosa saturazione tossica.
Sembrerà strano, ma tutti i fattori esterni a noi (freddo, caldo, microbi, virus, batteri, alimenti, ecc.) non possono causare di per sé la malattia, a meno che non provochino snervamento e indebolimento dell’energia vitale, la cui conseguenza è il ritardo nella espulsione delle tossine.
Se e solo se, il sangue si satura di tossine, interviene “l’eliminazione vicariante” detta malattia (o sintomo)!
Quindi in quest’ottica, la malattia altro non è che la Natura stessa che interviene di prepotenza, per liberare il carico tossico dal corpo, e segnalarci che siamo usciti dai binari di una vita sana e naturale.
Il nostro stile di vita globale (alimentazione, mondo dei sentimenti, mondo dei pensieri, le cose che diciamo e come le diciamo, ecc.) viene messo in discussione. Sta a noi comprenderlo e accettarlo, oppure possiamo sempre girare la testa dall’altra parte e prendere la medicina, il prodotto naturale, il farmaco omeopatico, ecc.
Tutte cose che nel bene (medicine naturali) e nel male (farmaci tossici) interferiscono con il meccanismo messo in atto dalla Natura.
STRESS AMBIENTALE – ABITUDINI QUOTIDIANE ERRATE
TRAUMI (FISICI-MENTALI-EMOZIONALI)
INDEBOLIMENTO
ELIMINAZIONE INSUFFICIENTE E RITENZIONE DI TOSSINE
TOSSIEMIA
MALATTIA
Irritazione > Infiammazione > Indurimento > Ulcerazione > Fungosità (cancro)
Qui sopra, dal diagramma codificato dal dottor J.H. Tilden (1851-1940) che esemplifica l’andamento della malattia, si può evincere che la malattia viene sempre dopo una tossiemia generalizzata, e la tossiemia viene sempre dopo un indebolimento energetico causato dallo stile di vita errato (alimenti tossici come le proteine animali, le combinazioni errate, una vita sregolata, poco riposo, ecc.)
Se tutto parte da un indebolimento generale e generalizzato, è logico che il riposo (mentale, fisico, emozionale) è basilare, e infatti in quest’ottica il digiuno è uno degli strumenti chiave.
Virus e batteri
Che ruolo hanno in tutto questo i batteri e virus? Sono esseri così tremendi da dover combattere con ogni strumento?
In questa visione, non sono certo da demonizzare, visto che il nostro corpo è praticamente colonizzato da miliardi di microrganismi, per non parlare dei virus (informazione ricoperta da una proteina) che sono all'ordine del giorno.
Nonostante quello che viene insegnato nelle scuole di medicina, i pericoli non arrivano dall'esterno se il corpo è sano e forte. Un qualsiasi organismo in perfetta salute "resiste" a qualsiasi "entità estranea", mentre un corpo malato, indebolito da pratiche debilitanti (stress, traumi, alimentazione, ecc.) soccombe a qualsiasi cosa.
I microbi sono dei saprofiti, vale a dire che si nutrono delle materie organiche morte o morenti. In questa maniera se i tessuti si trovano in uno stato tossiemico tale da necessitare una pulizia, allora agiscono positivamente in favore della salute.
Se i tessuti sono sani, ossigenati e nutriti correttamente, il corpo ha numerosi sistemi (pelle, mucose, secrezioni battericide, globuli bianchi, proteine, fegato, milza, linfociti, ecc.) per distruggere i microrganismi che accidentalmente arrivano dall'esterno (cibo, acqua, respirazione, ferite, ecc.).
I microrganismi interni, quindi, vengono "attivati" e/o "disattivati" dal nostro terreno biologico e fungono da veri e propri "spazzini" che aiutano a "pulire" il corpo in determinate situazioni patologiche. Gli antibiotici ("anti-bios" = contro la vita, contro la Natura) per esempio, distruggono tutte le forme di vita, impedendo ai microbi di lavorare e alla Guarigione di manifestarsi.
Cos’è il digiuno?
Diciamo subito che il digiuno non è una cura e nemmeno una terapia: è “semplicemente” il riposo fisiologico dell’organismo!
Parlare di “digiuno-terapia”, in termini odierni, non sarebbe molto corretto, a meno ché non s’intenda per terapia il complesso processo di autoguarigione (che però vedremo tra poco).
L’economica della Natura
La Natura si sa, non spreca nulla.
L’organismo umano normale è fornito di una scorta di materiali nutritivi messi da parte sotto forma di grasso, midollo osseo, glicogeno, estratti muscolari, latte, minerali, vitamine, ecc.
Sembrerà impossibile, ma un corpo in buona salute possiede immagazzinata una scorta nutritiva appropriata e sufficiente per superare giorni, settimane e anche alcuni mesi senza cibo.
Se non ci si alimenta, il corpo si avvale di queste riserve per nutrire i tessuti, e quando queste si esauriscono sopravviene il vero e proprio dimagrimento.
Nel sangue, linfa, ossa, specialmente nel midollo osseo, nel grasso, nel fegato e nelle altre ghiandole, persino nelle cellule vi sono riserve di proteine, grassi, zuccheri, minerali e vitamine da utilizzare nei momenti di scarsezza.
Quindi l’organismo a digiuno non verrà danneggiato dall’astinenza se e solo se le riserve saranno sufficienti a soddisfare i bisogni nutritivi dei tessuti e/o organi primari (cervello, polmoni, cuore, sistema nervoso, ecc.).
Per esempio, il glicogeno (amido animale), immagazzinato nel fegato, a bisogno viene trasformato in zucchero e distribuito ai tessuti a seconda le necessità.
Migliaia di esperimenti su persone hanno stabilito che durante il digiuno i tessuti si consumano in ordine inverso alla loro importanza: il grasso è il primo tessuto a scomparire (scompare il grasso dai muscoli, ma il muscolo mantiene la sua integrità ed una forza sorprendente).
Certamente l’organismo a digiuno cala di peso, ma tale perdita, anche se per un periodo prolungato, coinvolge le riserve e non i tessuti organici.
Infine, la perdita di peso varia a seconda del carattere e della qualità dei tessuti, dell’attività fisica ed emotiva svolta, della temperatura esterna, ecc.
Gli stress emotivi, l’attività fisica, il freddo e i tessuti scadenti accelerano il processo del calo di peso.
La regola importante è “in salute o in malattia, mai forzare del cibo nello stomaco”
Nelle malattie acute
Nelle malattie acute (infiammazioni, dolori, febbre, ecc.) la fame non si presenta perché le energie devono essere indirizzate verso altre direzioni piuttosto che “sprecate” per la digestione.
L’energia viene deviata dagli organi digestivi verso il lavoro più urgente, e anche il sangue fa la stessa cosa: viene dirottato verso quelle zone che ne richiedono in quantità.
Vi è assenza di succhi gastrici e le pareti del sistema digestivo secernono muco in quantità; i movimenti muscolari dello stomaco vengono sospesi e viene quindi meno la capacità di digerire il cibo.
Non si deve mangiare durante una crisi acuta, sia perché non si digerirebbe correttamente provocando fermentazioni e/o putrefazioni, ma anche perché il digiuno allevia il dolore e alleggerisce il carico di organi come reni e cuore.
Negli stati febbrili, i medici napoletani di 150 anni fa, facevano digiunare! Oggi? Il medico prescrive tachipirina, novalgina, aspirina, e altri veleni tossici per l’organismo.
Saltare qualche pasto, quando si presentano i primi sintomi, spesso è sufficiente a prevenire lo sviluppo di malattie più serie.
Nelle malattie croniche
Nelle malattie croniche una persona tende a credere di aver fame, ma le sue sensazioni sono solo irritazioni del tratto digestivo. Questi sintomi scompaiono quando si digiuna.
Durante il digiuno si accelerano i processi escretori che liberano velocemente il corpo dalle scorie e tossine che sono causa del disturbo
Nell’anemia e nel diabete, non si può intraprendere il digiuno da soli, ma serve la guida di un esperto igienista
Quattro buone ragioni per digiunare
1- Dimagrimento. Il digiuno è la strada più veloce, sicura ed efficiente per dimagrire.
2- Compensazione fisiologica. Quando si deve digerire un cibo una grande quantità di sangue deve affluire agli organi digestivi e l’organismo conseguentemente tende ad essere pigro, ad addormentarsi. Se si svolge un lavoro pesante, il processo digestivo è praticamente sospeso. Digiunare, conservando le energie digestive, permette di deviarle verso altri canali e quindi di svolgere altri lavori.
3- Riposo fisiologico. Il digiuno permette il riposo del sistema digestivo, ghiandolare, circolatorio, respiratorio, nervoso. Più cibo viene ingerito, maggiore è il lavoro che deve essere svolto dagli organi che formano tali sistemi; in presenza di un digiuno questi organi si riposano. Le ghiandole della bocca e dello stomaco, il tubo digestivo, il fegato e il pancreas non devono lavorare. Il cuore, le arterie si alleggeriscono e riposano. Le ghiandole, all’infuori di quelle che scernono succhi digestivi, riducono la loro attività secretrice. La respirazione rallenta e il sistema nervoso lavora di meno.
4- Eliminazione. Il dottor J. H. Tilden: “Dopo 55 anni trascorsi nel selvaggio mondo delle terapie mediche, sono costretto a dichiarare, senza paura di essere smentito, che il digiuno rappresenta l’unico evacuatore terapeutico sicuro per l’uomo”
Il dottor Felix L. Oswald: “Il digiuno rappresenta il migliore sistema rinnovatore. Tre giorni di digiuno all’anno purificano il sangue ed eliminano i veleni più efficacemente di cento bottiglie di soluzioni purgative”.
Non esiste niente altro che al pari del digiuno che sia in grado di aumentare l’eliminazione delle sostanze di rifiuto dal sangue e dai tessuti.
Le secrezioni represse o i rifiuti trattenuti vengono espulsi dall’organismo ed il sistema risulta purificato. Servono pochi giorni per liberare il sangue e la linfa dalle tossine, ma il digiuno prosegue nella sua azione e provoca l’espulsione delle tossine che da molto tempo erano depositate nei tessuti meno importanti (grasso, organi, ecc.)
Il digiuno costringe il corpo a consumare (autolisi) tutti i tessuti superflui e le scorte nutritive utilizzandole per sostenere i tessuti principali. In questo senso le tossine immesse in circolazione potranno essere espulse dagli organi escretori.
L’escrezione
L’escrezione è una delle funzioni fondamentali della vita ed è essenziale per l’esistenza stessa. L’organismo per mantenersi in vita deve: ASSIMILARE, CRESCERE, ESCRETARE
Abbiamo visto prima che vi è un continuo sforzo da parte dell’organismo di espellere le tossine accumulate, i rifiuti organici e inorganici (metabolismo: anabolismo e catabolismo).
Tutto quello che il corpo non può utilizzare come cibo deve essere espulso dal corpo.
Le energie dell’uomo sono divise sempre tra ASSIMILAZIONE ed ELIMINAZIONE.
Durante il digiuno (sospensione dell’alimentazione) l’eliminazione degli scarti, delle tossine raggiunge livelli unici.
Il riposo da solo aumenta l’eliminazione, anche se non agli stessi livelli.
Tutto ciò che diminuisce il lavoro dell’organismo aumenta quello dell’eliminazione
Forza ed energia durante il digiuno
Per quanto paradossale possa apparire, le persone deboli traggono i maggiori benefici da periodi di astinenza dal cibo, anche perché, la debolezza di solito, non è dovuta a mancanza di cibo ma ad una condizione di intossicazione dell’organismo e da una cattiva assimilazione.
Il digiuno può curare?
Il termine “cura” deriva dal latino che significava “attenzione”, “cautela”.
Oggi ovviamente ha un altro significato.
Il digiuno non “cura” nulla: è un periodo di riposo fisiologico, l’interruzione di ogni fatica.
Il riposo fornisce all’organismo l’opportunità di fare da solo quello che non riesce a fare in completa attività.
Solo quando le cause vengono eliminate e/o bloccate, il corpo, DA SOLO, può iniziare a guarire. Rimuovere le cause NON significa guarire, significa rendere possibile che i processi ristoratori, rigeneratori, perfezionino il loro operato.
Questo operato si chiama AUTOGUARIGIONE
Guarire, a differenza di curare, è un processo biologico, NON è un’arte.
Un chirurgo può cucire una ferita ma non può guarirla, può mettere insieme le estremità di un osso rotto ma non può unire o saldare le due parti. SOLO l’organismo può fare questo.
Guarire è un processo naturale
Ogni GUARIGIONE è in realtà solo AUTOGUARIGIONE e per tanto il digiuno non è una cura.
In quanto riposo fisiologico, il digiuno permette all’organismo di autoguarirsi, fornendo al corpo l’opportunità di lavorare con meno sforzi.
Alcune cosa da sapere nel digiuno
1- Quando si inizia a digiunare quasi inevitabilmente si presentano sviluppi fisici che non devono allarmare: lingua bianca, bocca e alito cattivo, denti impastati, mal di testa, ecc.
Sono tutte condizioni che rappresentano il processo purificatore. Appena il corpo scarica il suo fardello tossico, inizia il processo di purificazione della lingua, prima la punta e poi sui lati e alla fine bocca e lingua puliti.
2- L’urina può diventare scura, quasi nera, dall’odore forte, anche se si beve solo acqua. Indice del lavoro renale di eliminazione.
3- La perdita di peso è dovuta all’utilizzazione delle riserve organiche
4- La debolezza è dovuta all’inattività funzionale. Si è molto rilassati, il cuore e la respirazione rallenta, la circolazione si calma. La debolezza iniziale è dovuta all’assenza della “solita stimolazione”: caffè, ecc.
5- L’aspetto più noioso forse è rappresentato da nausee e vomito, che però sono importanti crisi purificatorie.
6- Il riposo (fisico e mentale) è fondamentale.
7- L’esercizio fisico all’aria aperta moderato è molto importante
8- Il raffreddamento inibisce l’eliminazione, per cui bisogna stare al caldo.
9- Bere acqua fresca pura, non fredda.
10- I bagni di sole sono un fattore nutritivo di grande aiuto nel digiuno, basta non abusarne.
11- Niente purganti durante il digiuno
L’interruzione del digiuno
Il momento ideale per interrompere il digiuno è quando si manifesta il ritorno della fame.
La lingua è pulita e l’alito è sano.
L’interruzione e la ripresa alimentare è fondamentale per non vanificare il tutto.
Si può riprendere mangiando cibi leggeri come frutta e verdure. Tre pasti al giorno, semplici e non ricchi, formati da cibi freschi.
DAL SITO WWW:DISINFORMAZIONE.IT uno dei siti più belli che io abbia consultato negli ultimi anni.
Bibliografia:
"Il digiuno può salvarvi la vita", dottor Herbert Shelton, ed. Manca
"La Tossiemia causa primaria di malattia" dottor J.H. Tilden, ed. Manca
"Tossiemia e la disintossicazione" di Emanuele Dimauro, tratto da "Igiene Naturale e Salute", nr.78-79-80, aprile 2009 Leggi il resto del articolo......
domenica 1 agosto 2010
Na gira an montagna
Përchè che la gent as saluta nen...
Na gira an montagna
Se i vardoma un pòch andré an la stòira dl’umanità, i s-ciairima che l’òm a l’ha vivù quasi sempre andrinta dle cite comunità, dij “clan”, dle famije nen tant gròsse, andoa che a fussa nen tant malfé a capisse, a ‘ndé d’acorde; cite borgà spatarà an sle colin-e, arlongh al fium, ant un rivass a randa ‘d na ròca, tute posission studià për trové dl’eva, paresse da la frèid, e magara stërmà dai soldà forësté che minca tant a rivavo për barbeje gran, galin-e e cò le fomne.
J’esempi dle cite comunità a son ij mila e mila paisòt che a son spatarà ant l’Europa, tuti con dij nòm baravantan, dle posission che tante vòte a fan pensé, e tuti con sò dialèt diferent, soe costume che a së smijo tute ma a son tute girà a soa manera, e tuti con sò amor e orgheuj për sò cioché, soa tèra andoa ch’a son na. A costa dimension comunitaria, l’òm a riess a combinesse da bin, për fé cheuse ‘l pan, për fré ij cavaj, për fé giré ‘l martinèt e forgé le ziamènte, për sotré ij mòrt e për fé festa minca tant e cò për feje na ca a Nosgnor Idio e ciameje ch’a para ij persi e j’uve da la tempesta. Dì che ant ij paisòt ai sìa mach la pas, lolì a l’é nen vèj, però i podima dì che fin-a l’equilibrio polìtich a l’é pì bon da ten-e pròpi përchè la gent a l’é obligà dë s-ciairisse tuti ij dì, dal panaté, ant ij camp, ant la Cesa e antrames a la festa dël pais, da dnans a na pinta ‘d vin, che a fa a n manera che peuj, con ël temp, squasi tute le gate as peulo rangesse.
Ij paisòt a son l’incontrari dle gròsse sità, andoa che l’umanità a l’é stà portà për eror o për tentassion, e andoa che a riess nen a vive an armonìa con la creassion.
Profitoma pura an costi dì d’andé a marcé an montagna, ant le bele valade dël Piemont; quandi che l’òm a riva an montagna, ant la pas, antrames a le piante milenarie, ai sarvanòt e a le marmòte, a cambia tut d’un colp. Ëd longh, quandi ch’it rive, at ven la veuja ‘d marcé, dë sté da sol, ëd respiré costa aira santa, d’anciochete j’euj a vardé cole ròche sensa fin, mach ti e col brich da monteje ansima con toe gambe. Peuj, doj ore dòp, d’anfòra, it tache a voghe na comitiva ‘d gent che a ven për tò senté...
La prima còsa che l’òm a fa quandi che a ‘mbat n’autr òm an montagna a l’é salutesse: sé, pròpi saluté un forësté!
Le fòrse dël Mal, con la tentassion dla moneda, dla facilità dla vita, dl’egoism, a l’han portà l’umanità a vive andrinta a un ciadel sensa cognission che a l’é la vita moderna, andoa che l’òm a l’é “anestetisà”, andurmì andrinta a col bordel dla television, dël travaj, tràfich, telefonin an sacòcia, aradio ch’a sbrajasso, e tut sonsì a lo carìa mach ëd nervos, d’òdio, gramissia, che peuj a son le conseguense lògiche dle pì brute maladìe.
L’òm a l’ha dësmentia còs ch’a l’é ‘l silensi, e a pensa che soa vita sìa mach sté an mes al bordel. Për lòn che fin-a ij pì giovo, quandi che a van an montagna, as pòrto l’aradio da press!
I l’oma tuti la paura dël silensi përché a l’é la stra che a pòrta al cambiament: a vanta taché a fé silensi da fòra, për dòp taché a felo d’andrinta, për sente cola ch’a l’é nòstra vera identità.
Marcé an montagna, për andé ans un brich, a l’é un-a dle rapresentassion pì bele dl’umanità an sla tèra: l’òm, da sol, antrames a le piante, le besc-e e le ròche, a viagia a testa ansù anver a n’obietiv precis: an sla stra a treuva la pas, a dësmentia tute soe gran-e dla vita fòla e sensa sens.
An costa condission ëd pas, ëd Grassia (a gratis), a ambat n’autr òm, e a-i ven natural ëd salutelo për da bin, ëd volej-je “bin”. Nen soneje ‘l clacson e feje ij còrn da ant ël lunòt!
Bon-a montagna a tuti. Leggi il resto del articolo......
Na gira an montagna
Se i vardoma un pòch andré an la stòira dl’umanità, i s-ciairima che l’òm a l’ha vivù quasi sempre andrinta dle cite comunità, dij “clan”, dle famije nen tant gròsse, andoa che a fussa nen tant malfé a capisse, a ‘ndé d’acorde; cite borgà spatarà an sle colin-e, arlongh al fium, ant un rivass a randa ‘d na ròca, tute posission studià për trové dl’eva, paresse da la frèid, e magara stërmà dai soldà forësté che minca tant a rivavo për barbeje gran, galin-e e cò le fomne.
J’esempi dle cite comunità a son ij mila e mila paisòt che a son spatarà ant l’Europa, tuti con dij nòm baravantan, dle posission che tante vòte a fan pensé, e tuti con sò dialèt diferent, soe costume che a së smijo tute ma a son tute girà a soa manera, e tuti con sò amor e orgheuj për sò cioché, soa tèra andoa ch’a son na. A costa dimension comunitaria, l’òm a riess a combinesse da bin, për fé cheuse ‘l pan, për fré ij cavaj, për fé giré ‘l martinèt e forgé le ziamènte, për sotré ij mòrt e për fé festa minca tant e cò për feje na ca a Nosgnor Idio e ciameje ch’a para ij persi e j’uve da la tempesta. Dì che ant ij paisòt ai sìa mach la pas, lolì a l’é nen vèj, però i podima dì che fin-a l’equilibrio polìtich a l’é pì bon da ten-e pròpi përchè la gent a l’é obligà dë s-ciairisse tuti ij dì, dal panaté, ant ij camp, ant la Cesa e antrames a la festa dël pais, da dnans a na pinta ‘d vin, che a fa a n manera che peuj, con ël temp, squasi tute le gate as peulo rangesse.
Ij paisòt a son l’incontrari dle gròsse sità, andoa che l’umanità a l’é stà portà për eror o për tentassion, e andoa che a riess nen a vive an armonìa con la creassion.
Profitoma pura an costi dì d’andé a marcé an montagna, ant le bele valade dël Piemont; quandi che l’òm a riva an montagna, ant la pas, antrames a le piante milenarie, ai sarvanòt e a le marmòte, a cambia tut d’un colp. Ëd longh, quandi ch’it rive, at ven la veuja ‘d marcé, dë sté da sol, ëd respiré costa aira santa, d’anciochete j’euj a vardé cole ròche sensa fin, mach ti e col brich da monteje ansima con toe gambe. Peuj, doj ore dòp, d’anfòra, it tache a voghe na comitiva ‘d gent che a ven për tò senté...
La prima còsa che l’òm a fa quandi che a ‘mbat n’autr òm an montagna a l’é salutesse: sé, pròpi saluté un forësté!
Le fòrse dël Mal, con la tentassion dla moneda, dla facilità dla vita, dl’egoism, a l’han portà l’umanità a vive andrinta a un ciadel sensa cognission che a l’é la vita moderna, andoa che l’òm a l’é “anestetisà”, andurmì andrinta a col bordel dla television, dël travaj, tràfich, telefonin an sacòcia, aradio ch’a sbrajasso, e tut sonsì a lo carìa mach ëd nervos, d’òdio, gramissia, che peuj a son le conseguense lògiche dle pì brute maladìe.
L’òm a l’ha dësmentia còs ch’a l’é ‘l silensi, e a pensa che soa vita sìa mach sté an mes al bordel. Për lòn che fin-a ij pì giovo, quandi che a van an montagna, as pòrto l’aradio da press!
I l’oma tuti la paura dël silensi përché a l’é la stra che a pòrta al cambiament: a vanta taché a fé silensi da fòra, për dòp taché a felo d’andrinta, për sente cola ch’a l’é nòstra vera identità.
Marcé an montagna, për andé ans un brich, a l’é un-a dle rapresentassion pì bele dl’umanità an sla tèra: l’òm, da sol, antrames a le piante, le besc-e e le ròche, a viagia a testa ansù anver a n’obietiv precis: an sla stra a treuva la pas, a dësmentia tute soe gran-e dla vita fòla e sensa sens.
An costa condission ëd pas, ëd Grassia (a gratis), a ambat n’autr òm, e a-i ven natural ëd salutelo për da bin, ëd volej-je “bin”. Nen soneje ‘l clacson e feje ij còrn da ant ël lunòt!
Bon-a montagna a tuti. Leggi il resto del articolo......
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martedì 13 luglio 2010
L’òm e j’animaj dla Creassion
La bes-cia pì bes-cia ‘d tute
L’òm e j’animaj dla Creassion
Galup a l’é ‘l mé can; bele che... dì “mé can” a sìa mach na paròla. Chièl a l’é lì scogiassà contra ‘l pajé, a s’arvita ant ël povrass dla gera dla cort, a deurm come ‘n crin tut ël dì, a-i cor da dré dar mosche, e a speta che a la sèira da la cusin-a a-i seurta sò sigilin ‘d potarèt vansà. Mangé e deurme e bauleje a ra lun-a: mai vist na caden-a, mai avù da ‘ndesse sërché la sbòba për vive.
Baicanda ben, fòrsi i son mi che son “sò”, mi che an toca core sota ‘l sol, con la crapa sempre pì brusatà ant ël reu andoa che ij cavej a ven-o sempre pì ràir.
L’òm, come san Fransèsch, a l’ha come dover ëd fé diventé domestie tute le bes-ce, an manera che cò lor, ant ël temp, a peusso avèj dal Creator l’individualità che l’òm a l’ha avù ant ij temp andré. A-i son mila manere ‘d parleje ar bes-ce, con j’esempi e con le paròle, për fé an manera che a peusso ten-e un comportament che a daga a la comunità, a l’organism agrìcol o bele mach a la famija n’agiut, un pòch ëd fòrsa për andé anans. Ël caval a peul tiré ‘l carèt, l’aso a peul rabasté le ziamente dl’òrt, ël can a peul vardé le feje an pastura e le galin-e a peulo fé j’euv. La cassin-a, la famija, formà da l’òm e le bes-ce e le piante, a deuv diventé na colaborassion general ëd tute coste forme ‘d vita, che a deuv diventé “imagine e smijansa” dl’Univers dël Creator.
An cost univers ëd libertà e ‘d colaborassion, ij can e ij gat a ven-o a avèj na fonsion, n’utilità, an cambi dla libertà che noj je doma quandi che i-i lassoma a rabel, a vindolé ant ij camp e ant la cort, lìber come j’osej e le bes-ce sërvaje, ma doméstich e colaborator dl’òm.
An costa manera, ij can e ij gat a vivo soa vita dësgenà, sensa sagrin e sensa pao ‘d gnente, con l’arzigh (a l’é vaj) d’andé sbërgnacà sota le roe d’un camion, ma lìber.
Min, Min... ven sì...brav!
An sità le còse a son diferente: “Òh che bel gatin, vanda mach, (pòvra bes-cia), a sarà un gat sperdù”... Chi sa, “poverino”, che fam che a deuv avèj... “A vanta salvelo”: “Mino min min, ven sì brav“: a lo ciapo, a lo saro andrinta na gabia, e peui “trach!”, a-i tajo ‘d longh le bale, tant për rispet. “J’animaj a van sterilisà e sarà ant le gabie”.
E parej ‘l gat che a l’é andaje da dré da l’òm, an sità, a l’ha pagà cò chiel ‘l pressi për vive antrames a tut coj palass e col asfalt: a l’ha lassaje ij “coconèt” sensa savèjne gente, e a l’han butalo ant un-a gabia a des pian, con j’orari dla supa e dla sògn, a vardé ‘l mond a quadrèt come ‘l pès delinquant. Cost a l’é “l’amor” che certa gent a pòrta për le bes-ce.
La sterilissassion dl’umanità
A voghe da fòra come che a trato le bes-ce pròpi coj là che a diso ‘d voleije pì bin che j’autri, a smija che l’òm a stògna sërcand na giustificassion për avèj sërcà ‘d castré l’umanità, d’avèj ampedì che milion ‘d masnà a podèisso nasse ant l’Europa: l’egoism dl’òm modern, e la sua pao ëd pi nen avèj a basta sòld da sgheiraccé al centro comersial, a l’ha fa an manera ‘d masseje prima che a sauto fòra da la pansa dla mare. Sterilisé un gat, e pratiché l’abòrt, an fin dij cont, a son la stessa ròba: noj massoma e sëmnoma la mòrt përché l’oma pao dla vita. La vita l’oma nen ‘l dirit ëd fërmela, përché soma nen noj ij padron dl’Univers.
La vita tant, a va anans l’istess: dij gat a-i na j’é sempre pì tanti, e le masnà ch’i l’oma massà ant la pansa dla mare adess a traverso ‘l mar con ël gomon për ven-e a coneusse la tèra e la mare andoa che a l’avo da nasse la gira prima....
Batista Leggi il resto del articolo......
L’òm e j’animaj dla Creassion
Galup a l’é ‘l mé can; bele che... dì “mé can” a sìa mach na paròla. Chièl a l’é lì scogiassà contra ‘l pajé, a s’arvita ant ël povrass dla gera dla cort, a deurm come ‘n crin tut ël dì, a-i cor da dré dar mosche, e a speta che a la sèira da la cusin-a a-i seurta sò sigilin ‘d potarèt vansà. Mangé e deurme e bauleje a ra lun-a: mai vist na caden-a, mai avù da ‘ndesse sërché la sbòba për vive.
Baicanda ben, fòrsi i son mi che son “sò”, mi che an toca core sota ‘l sol, con la crapa sempre pì brusatà ant ël reu andoa che ij cavej a ven-o sempre pì ràir.
L’òm, come san Fransèsch, a l’ha come dover ëd fé diventé domestie tute le bes-ce, an manera che cò lor, ant ël temp, a peusso avèj dal Creator l’individualità che l’òm a l’ha avù ant ij temp andré. A-i son mila manere ‘d parleje ar bes-ce, con j’esempi e con le paròle, për fé an manera che a peusso ten-e un comportament che a daga a la comunità, a l’organism agrìcol o bele mach a la famija n’agiut, un pòch ëd fòrsa për andé anans. Ël caval a peul tiré ‘l carèt, l’aso a peul rabasté le ziamente dl’òrt, ël can a peul vardé le feje an pastura e le galin-e a peulo fé j’euv. La cassin-a, la famija, formà da l’òm e le bes-ce e le piante, a deuv diventé na colaborassion general ëd tute coste forme ‘d vita, che a deuv diventé “imagine e smijansa” dl’Univers dël Creator.
An cost univers ëd libertà e ‘d colaborassion, ij can e ij gat a ven-o a avèj na fonsion, n’utilità, an cambi dla libertà che noj je doma quandi che i-i lassoma a rabel, a vindolé ant ij camp e ant la cort, lìber come j’osej e le bes-ce sërvaje, ma doméstich e colaborator dl’òm.
An costa manera, ij can e ij gat a vivo soa vita dësgenà, sensa sagrin e sensa pao ‘d gnente, con l’arzigh (a l’é vaj) d’andé sbërgnacà sota le roe d’un camion, ma lìber.
Min, Min... ven sì...brav!
An sità le còse a son diferente: “Òh che bel gatin, vanda mach, (pòvra bes-cia), a sarà un gat sperdù”... Chi sa, “poverino”, che fam che a deuv avèj... “A vanta salvelo”: “Mino min min, ven sì brav“: a lo ciapo, a lo saro andrinta na gabia, e peui “trach!”, a-i tajo ‘d longh le bale, tant për rispet. “J’animaj a van sterilisà e sarà ant le gabie”.
E parej ‘l gat che a l’é andaje da dré da l’òm, an sità, a l’ha pagà cò chiel ‘l pressi për vive antrames a tut coj palass e col asfalt: a l’ha lassaje ij “coconèt” sensa savèjne gente, e a l’han butalo ant un-a gabia a des pian, con j’orari dla supa e dla sògn, a vardé ‘l mond a quadrèt come ‘l pès delinquant. Cost a l’é “l’amor” che certa gent a pòrta për le bes-ce.
La sterilissassion dl’umanità
A voghe da fòra come che a trato le bes-ce pròpi coj là che a diso ‘d voleije pì bin che j’autri, a smija che l’òm a stògna sërcand na giustificassion për avèj sërcà ‘d castré l’umanità, d’avèj ampedì che milion ‘d masnà a podèisso nasse ant l’Europa: l’egoism dl’òm modern, e la sua pao ëd pi nen avèj a basta sòld da sgheiraccé al centro comersial, a l’ha fa an manera ‘d masseje prima che a sauto fòra da la pansa dla mare. Sterilisé un gat, e pratiché l’abòrt, an fin dij cont, a son la stessa ròba: noj massoma e sëmnoma la mòrt përché l’oma pao dla vita. La vita l’oma nen ‘l dirit ëd fërmela, përché soma nen noj ij padron dl’Univers.
La vita tant, a va anans l’istess: dij gat a-i na j’é sempre pì tanti, e le masnà ch’i l’oma massà ant la pansa dla mare adess a traverso ‘l mar con ël gomon për ven-e a coneusse la tèra e la mare andoa che a l’avo da nasse la gira prima....
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giovedì 17 giugno 2010
L'acqua e l'uomo
La pioggia ha fatto ancor disastri. L'acqua che é uno degli elementi essenziali della vita sulla terra, ha dimostrato ancora una volta la sua forza.
L'uomo ha ritratto con i suoi aparecchi bidimensionali, l'effetto dell'acqua nel Vars, una regione della Francia vicinissima a noi.
Analizzo dunque, stamane le 14 foto presenti sul sito delle "busiarda" (la Stampa).
In 7 foto il soggetto principale sono le automobili.
In 6 foto é soggetto l'opera dell'uomo "smontata" con uno spruzzo dalla forza dell'acqua caduta dal cielo.
In 11 foto é presente l'uomo, intento a mirare stupefatto, impacciato quello che l'acqua del cielo ha fatto alle sue certezze.
E' molto bella quell'immagine dall'alto che ritrae due furgoni lentamente cullati dalla corrente, che , adagiati nel letto del fiume di acqua color della terra, stanno galleggiando-rotolando verso il mare.
L'uomo guarda le meraviglie del suo creato, il mondo del consumismo, galleggiare fra le onde di fango. Il fango é composto da terra e acqua al contempo. Gli autisti dei due furgoni avevano regolarmente preso un "café" lunghissimo al bar, regolarmente bisticciato nel loro cuore quando l'uno non aveva segnalato con la "clignotant" di svoltare a destra, avevanno regolarmente fatto i conti di quanto sarebbe costato riportare indietro il furgone di soli tre anni, e prendere il modello nuovo visto che c'é l'incentivo e che "me lo passano bene" quello vecchio; avevano calpestato la solita pozzanghera sulla stradina di ghiaia che porta a casa, quella strada che nessuno aggiusta perché "toccherebbe ai vicini"; entrambe ascoltavano lo "zoo di 105", la campagnia di molta gente che viaggia su questa fitta ragnatela di strade caotiche, per "guadagnare" quanto serve per "spendere" nella società.
Dans un seule image, nous avons la possibilité de voir (du haut) , l'image del la nature arrosée par l'eau, deux petit marigots que ont debordé son precieux contenu dans le champs; nous est facile imaginer la sensation de joie des arbres anfoncée dans cette terre mouillée; de voir le poissons nagé par le champs a la recherche de qualques chose de nouveau; des oiseaux que bien posés sur les arbres, sont entrain de regarder le spectacle. Ceci est le spectacle de la puissance de la nature; aucune plante mourirà pour la cause de cet aurage: aucun poisson ou oiseaux aura reporté de consequences.
L'homme seule à reporté 20 mort, 20 àmes qui ont laissez ces monde terrestre pour fair acces au monde de l' Esprit.
il y a a que reflechir.
Alla prima pisciata di acqua dal cielo, le nostre certezze svaniscono, le nostra auto galleggiano, le nostre vie e case si sgretolano, e noi affondiamo perché l'indurimento del nostro cuore, che é diventato una pietra, ci impedisce di restare a galla.
La notizia: 100mila persone senza corrente. Tutto qui?
Leggi il resto del articolo......
L'uomo ha ritratto con i suoi aparecchi bidimensionali, l'effetto dell'acqua nel Vars, una regione della Francia vicinissima a noi.
Analizzo dunque, stamane le 14 foto presenti sul sito delle "busiarda" (la Stampa).
In 7 foto il soggetto principale sono le automobili.
In 6 foto é soggetto l'opera dell'uomo "smontata" con uno spruzzo dalla forza dell'acqua caduta dal cielo.
In 11 foto é presente l'uomo, intento a mirare stupefatto, impacciato quello che l'acqua del cielo ha fatto alle sue certezze.
E' molto bella quell'immagine dall'alto che ritrae due furgoni lentamente cullati dalla corrente, che , adagiati nel letto del fiume di acqua color della terra, stanno galleggiando-rotolando verso il mare.
L'uomo guarda le meraviglie del suo creato, il mondo del consumismo, galleggiare fra le onde di fango. Il fango é composto da terra e acqua al contempo. Gli autisti dei due furgoni avevano regolarmente preso un "café" lunghissimo al bar, regolarmente bisticciato nel loro cuore quando l'uno non aveva segnalato con la "clignotant" di svoltare a destra, avevanno regolarmente fatto i conti di quanto sarebbe costato riportare indietro il furgone di soli tre anni, e prendere il modello nuovo visto che c'é l'incentivo e che "me lo passano bene" quello vecchio; avevano calpestato la solita pozzanghera sulla stradina di ghiaia che porta a casa, quella strada che nessuno aggiusta perché "toccherebbe ai vicini"; entrambe ascoltavano lo "zoo di 105", la campagnia di molta gente che viaggia su questa fitta ragnatela di strade caotiche, per "guadagnare" quanto serve per "spendere" nella società.
Dans un seule image, nous avons la possibilité de voir (du haut) , l'image del la nature arrosée par l'eau, deux petit marigots que ont debordé son precieux contenu dans le champs; nous est facile imaginer la sensation de joie des arbres anfoncée dans cette terre mouillée; de voir le poissons nagé par le champs a la recherche de qualques chose de nouveau; des oiseaux que bien posés sur les arbres, sont entrain de regarder le spectacle. Ceci est le spectacle de la puissance de la nature; aucune plante mourirà pour la cause de cet aurage: aucun poisson ou oiseaux aura reporté de consequences.
L'homme seule à reporté 20 mort, 20 àmes qui ont laissez ces monde terrestre pour fair acces au monde de l' Esprit.
il y a a que reflechir.
Alla prima pisciata di acqua dal cielo, le nostre certezze svaniscono, le nostra auto galleggiano, le nostre vie e case si sgretolano, e noi affondiamo perché l'indurimento del nostro cuore, che é diventato una pietra, ci impedisce di restare a galla.
La notizia: 100mila persone senza corrente. Tutto qui?
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domenica 13 giugno 2010
Disinformazione.it
Vi presento un sito internet che stimo e apprezzo. qui di seguito un articolo a casa (mica tanto); un invito a seguirer questo valdissimo sito.
- Pagina vaccinazioni
La ricerca sui vaccini sta a cuore alla Fondazione Gates...
Traduzione di Cristina Bassi da Mercola.com - tratto da www.thelivingspirits.net
La notizia che traduco nel seguito (da mercola.com) è una di quelle che fanno tremare coloro che sono attenti alle macchinazioni e manipolazioni delle Big Pharma sulla nostra salute. Ci mancava anche la filantropia di Mr Gates...
Dal Washington Post del 30 gennaio 2010: (http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2010/01/29/AR2010012903953.html):
“la Fondazione Bill & Melinda Gates progetta di donare 10 miliardi di dollari nel prossimo decennio per la ricerca di nuovi vaccini, secondo le affermazioni del co-fondatore della Microsoft e consorte. Hanno anche chiesto che vi contribuisca il governo e il mondo degli affari.
"Dobbiamo fare di questo il decennio dei vaccini” ha detto Bill Gates.
"I vaccini sono un miracolo," ha detto Melinda Gates. (e glielo lasciamo tutto per lei… ndr)
"Solo con poche dosi, essi possono prevenire malattie mortali per tutta la vita", dice la signora….
Ecco il commento del dr Mercola:
La Fondazione Gates ha fatto la donazione forse più grande in tutta la storia, ma purtroppo riguarda un disastro in attesa di compimento, causa la falsa credenza che più medicine siano la risposta ai problemi di salute nel mondo.
Ciò che veramente mi disorienta è come questi 10 miliardi non possano essere considerati un sussidio diretto alle industrie farmaceutiche, dato che saranno le uniche a beneficiarne.
L’autore di Politicol News l’ha detta meglio:
“L’annuncio di 10 miliardi di dollari per pompare, a livello mondiale, più profitti nelle industrie del farmaco è il più grande errore che ha fatto Gates dopo quello di Microsoft Vista.”
Come una delle voci più rispettate al mondo, Gates ha una opportunità unica per richiamare l’attenzione su importanti questioni sociali, creando un grande impatto a livello mondiale. Invece si è lasciato sedurre da interessi speciali e sta sprecando le sue risorse, insieme all’opportunità di fare veramente la differenza.
E’ un peccato che tutto il denaro non stia andando verso soluzioni che veramente siano dirette ai problemi di fondo, come la nutrizione, l’acqua pulita, la sanità e la vitamina D.
Tutto quel denaro quanti sistemi di purificazione avrebbe costruito in India o ad Haiti? Quanti impianti sanitari?
A letto con le Big Pharma
Donare denaro per i bambini del mondo è certamente lodevole e non penserei mai che qualcuno sia in errore nel farlo. Ma giocare in coppia con le industrie farmaceutiche ed aspettarsi altruismo, è - al meglio - ingenuità.
Ho grande rispetto per la bravura intellettuale di Gates e mi è veramente difficile credere che non sappia la verità sui vaccini.
Il problema è che Gates non ha interesse nei sistemi di guarigione naturali e quindi si affida a consulenti radicati nel paradigma medico convenzionale fatalmente difettoso, che ritiene che i vaccini siano la cura per tutte le malattie infettive.
Infatti, la Fondazione Gates è profondamente associata alle Big Pharma e persino alla Monsanto, come si può vedere dalle loro recenti associazioni:
- Nel 2006 Gates assunse il vicepresidente della Monsanto, Robert Horsch[i] perché si unisse alla Fondazione
- Nel 2001 Gates aggiunse al suo consiglio direttivo Raymond Gilmartin della Merck
- Nel 2002 Gates investì 205 milioni di dollari in 9 delle grandi aziende farmaceutiche
- Negli anni scorsi, La Fondazione Gates ha dato più di 4.5 miliardi di dollari alla ricerca sui vaccini
Vaccinare chi è compromesso con il sistema immunitario è una ricetta disastrosa
Per poter sradicare malattie infettive da una nazione, prima di tutto bisogna dirigersi su coloro che hanno un sistema immunitario compromesso. Se colpite con un potente vaccino dei bambini dal sistema immunitario soppresso, creerete malattia, anziché sradicarla.
Se vi soffermate con attenzione su questo punto, considererete chiaramente che i vaccini reprimono le funzioni immunitarie del corpo.
La morte e la malattia nei paesi in via di sviluppo sono spesso un risultato di malnutrizione, associato a questo tipo di problemi [ii]:
- i bambini con inadeguate proteine nella loro dieta non sono in grado di produrre anticorpi dopo aver ricevuto i vari vaccini, perché in tal modo viene compromessa la capacità di produrre globuli bianchi, che sono essenziali per combattere infezioni.
- è più probabile che i corpi di bambini malnutriti vengano penetrati da organismi infetti , causa insufficiente vitamina C; questo fa si che la loro pelle si rompa più facilmente e faciliti così l’entrata di batteri ed altri organismi.
- le condizioni di vita dei bambini del terzo mondo sono spesso cosi scarse che essi sono esposti ad un largo numero di agenti patogeni, da cui hanno pochissima difesa.
- la causa di morte più diffusa tra i bambini dei paesi in via di sviluppo è la diarrea.
- i bambini del terzo mondo sono spesso in battaglia con vari tipi di infezioni per 200 giorni all’anno.
Persino I bambini sani hanno sistemi immunitari immaturi, ma somministrare dei vaccini a bambini che generalmente sono in un debole stato di salute, è una ricetta sicura per il disastro.
Ha più denaro che senso
Le iniziative falliscono laddove le soluzioni perdono di vista la radice del problema.
Per esempio, Kristi Helm (Seattle Times [iii]) cita l’iniziativa Avahan [iv]) della Fondazione Gates, ovvero un programma di 258 milioni di dollari designato per diminuire la diffusione dell’HIV/AIDS in India. E’ documentato che il programma sia gestito da consulenti d’affari molto retribuiti, piuttosto che da persone che abbiano esperienza di salute pubblica.
La soluzione di Gates era di versare persino più denaro in questo anno— altri 80 milioni di dollari— anziché vedere perché il programma non aveva successo.
Margarita Quintanilla, una coordinatrice della salute nella comunità, che ha lavorato in Nicaragua e che è beneficiaria della Fondazione Gates, ha espresso preoccupazione su come le multinazionali vogliano inserirsi con soluzioni tecniche senza spendere una riflessione sui bisogni delle infrastrutture sociali di base, come l’istruzione. Questa donna ha avuto più successo nell’insegnare dei concetti base come lavarsi le mani per ridurre infezioni.
Quintanilla ha detto:
"Dobbiamo essere saggi ed intelligenti nelle nostre soluzioni. Abbiamo la responsabilità di promuovere il cambiamento nel modo giusto."
La tecnologia non sempre ha la chiave per risolvere i problemi della salute, dell’istruzione e della povertà: bisogna con essa implementare le strutture sociali.
Los Angeles Times: il programma africano di Gates contro l’AIDS mette a rischio i bambini
La miopia di Gates è evidente da questo altro passo fatto dalla sua filantropia.
Il Los Angeles Times riferisce che nel 2007 i doni generosi della Fondazione Gates per combattere l’ HIV/AIDS, la tubercolosi e la malaria in Africa hanno messo a rischio inavvertitamente molti bambini.[v]
A quel tempo, gli sforzi per combattere quelle malattie specifiche richiedevano un training medico altamente specializzato, che però portò ad una carenza di medici di base.
Cosi ironicamente più bambini morirono di malattie comuni come la diarrea e la sepsi (infezione generalizzata all'intero organismo, ndt).
Mentre non c’è dubbio che il denaro sia fondamentalmente importante per salvare le vite di bambini vulnerabili, non ci sarà nessun progresso se il denaro non viene diretto ai problemi di fondo che si basano primariamente sullo stile di vita.
Traduzione di Cristina Bassi
Fonte:
http://articles.mercola.com/sites/articles/archive/2010/02/20/gates-donates-10-billion-dollars-for-vaccines.aspx
Note:
[i] “Monsanto vice president joins the Gates Foundation” (October 19, 2006) Organic Consumers Association
[ii] Urvina S. “Malnutrition in Third World Countries” (1984)
[iii] Helm K. “Two words missing from Gates Foundation vocabulary” (July 30, 2009) Seattle Times
[iv] Avahan: India AIDS Initiative,
[v] Piller C and Smith D. “Unintended victims” (December 16, 2007) Los Angeles Times
www.disinformazione.it
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- Pagina vaccinazioni
La ricerca sui vaccini sta a cuore alla Fondazione Gates...
Traduzione di Cristina Bassi da Mercola.com - tratto da www.thelivingspirits.net
La notizia che traduco nel seguito (da mercola.com) è una di quelle che fanno tremare coloro che sono attenti alle macchinazioni e manipolazioni delle Big Pharma sulla nostra salute. Ci mancava anche la filantropia di Mr Gates...
Dal Washington Post del 30 gennaio 2010: (http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2010/01/29/AR2010012903953.html):
“la Fondazione Bill & Melinda Gates progetta di donare 10 miliardi di dollari nel prossimo decennio per la ricerca di nuovi vaccini, secondo le affermazioni del co-fondatore della Microsoft e consorte. Hanno anche chiesto che vi contribuisca il governo e il mondo degli affari.
"Dobbiamo fare di questo il decennio dei vaccini” ha detto Bill Gates.
"I vaccini sono un miracolo," ha detto Melinda Gates. (e glielo lasciamo tutto per lei… ndr)
"Solo con poche dosi, essi possono prevenire malattie mortali per tutta la vita", dice la signora….
Ecco il commento del dr Mercola:
La Fondazione Gates ha fatto la donazione forse più grande in tutta la storia, ma purtroppo riguarda un disastro in attesa di compimento, causa la falsa credenza che più medicine siano la risposta ai problemi di salute nel mondo.
Ciò che veramente mi disorienta è come questi 10 miliardi non possano essere considerati un sussidio diretto alle industrie farmaceutiche, dato che saranno le uniche a beneficiarne.
L’autore di Politicol News l’ha detta meglio:
“L’annuncio di 10 miliardi di dollari per pompare, a livello mondiale, più profitti nelle industrie del farmaco è il più grande errore che ha fatto Gates dopo quello di Microsoft Vista.”
Come una delle voci più rispettate al mondo, Gates ha una opportunità unica per richiamare l’attenzione su importanti questioni sociali, creando un grande impatto a livello mondiale. Invece si è lasciato sedurre da interessi speciali e sta sprecando le sue risorse, insieme all’opportunità di fare veramente la differenza.
E’ un peccato che tutto il denaro non stia andando verso soluzioni che veramente siano dirette ai problemi di fondo, come la nutrizione, l’acqua pulita, la sanità e la vitamina D.
Tutto quel denaro quanti sistemi di purificazione avrebbe costruito in India o ad Haiti? Quanti impianti sanitari?
A letto con le Big Pharma
Donare denaro per i bambini del mondo è certamente lodevole e non penserei mai che qualcuno sia in errore nel farlo. Ma giocare in coppia con le industrie farmaceutiche ed aspettarsi altruismo, è - al meglio - ingenuità.
Ho grande rispetto per la bravura intellettuale di Gates e mi è veramente difficile credere che non sappia la verità sui vaccini.
Il problema è che Gates non ha interesse nei sistemi di guarigione naturali e quindi si affida a consulenti radicati nel paradigma medico convenzionale fatalmente difettoso, che ritiene che i vaccini siano la cura per tutte le malattie infettive.
Infatti, la Fondazione Gates è profondamente associata alle Big Pharma e persino alla Monsanto, come si può vedere dalle loro recenti associazioni:
- Nel 2006 Gates assunse il vicepresidente della Monsanto, Robert Horsch[i] perché si unisse alla Fondazione
- Nel 2001 Gates aggiunse al suo consiglio direttivo Raymond Gilmartin della Merck
- Nel 2002 Gates investì 205 milioni di dollari in 9 delle grandi aziende farmaceutiche
- Negli anni scorsi, La Fondazione Gates ha dato più di 4.5 miliardi di dollari alla ricerca sui vaccini
Vaccinare chi è compromesso con il sistema immunitario è una ricetta disastrosa
Per poter sradicare malattie infettive da una nazione, prima di tutto bisogna dirigersi su coloro che hanno un sistema immunitario compromesso. Se colpite con un potente vaccino dei bambini dal sistema immunitario soppresso, creerete malattia, anziché sradicarla.
Se vi soffermate con attenzione su questo punto, considererete chiaramente che i vaccini reprimono le funzioni immunitarie del corpo.
La morte e la malattia nei paesi in via di sviluppo sono spesso un risultato di malnutrizione, associato a questo tipo di problemi [ii]:
- i bambini con inadeguate proteine nella loro dieta non sono in grado di produrre anticorpi dopo aver ricevuto i vari vaccini, perché in tal modo viene compromessa la capacità di produrre globuli bianchi, che sono essenziali per combattere infezioni.
- è più probabile che i corpi di bambini malnutriti vengano penetrati da organismi infetti , causa insufficiente vitamina C; questo fa si che la loro pelle si rompa più facilmente e faciliti così l’entrata di batteri ed altri organismi.
- le condizioni di vita dei bambini del terzo mondo sono spesso cosi scarse che essi sono esposti ad un largo numero di agenti patogeni, da cui hanno pochissima difesa.
- la causa di morte più diffusa tra i bambini dei paesi in via di sviluppo è la diarrea.
- i bambini del terzo mondo sono spesso in battaglia con vari tipi di infezioni per 200 giorni all’anno.
Persino I bambini sani hanno sistemi immunitari immaturi, ma somministrare dei vaccini a bambini che generalmente sono in un debole stato di salute, è una ricetta sicura per il disastro.
Ha più denaro che senso
Le iniziative falliscono laddove le soluzioni perdono di vista la radice del problema.
Per esempio, Kristi Helm (Seattle Times [iii]) cita l’iniziativa Avahan [iv]) della Fondazione Gates, ovvero un programma di 258 milioni di dollari designato per diminuire la diffusione dell’HIV/AIDS in India. E’ documentato che il programma sia gestito da consulenti d’affari molto retribuiti, piuttosto che da persone che abbiano esperienza di salute pubblica.
La soluzione di Gates era di versare persino più denaro in questo anno— altri 80 milioni di dollari— anziché vedere perché il programma non aveva successo.
Margarita Quintanilla, una coordinatrice della salute nella comunità, che ha lavorato in Nicaragua e che è beneficiaria della Fondazione Gates, ha espresso preoccupazione su come le multinazionali vogliano inserirsi con soluzioni tecniche senza spendere una riflessione sui bisogni delle infrastrutture sociali di base, come l’istruzione. Questa donna ha avuto più successo nell’insegnare dei concetti base come lavarsi le mani per ridurre infezioni.
Quintanilla ha detto:
"Dobbiamo essere saggi ed intelligenti nelle nostre soluzioni. Abbiamo la responsabilità di promuovere il cambiamento nel modo giusto."
La tecnologia non sempre ha la chiave per risolvere i problemi della salute, dell’istruzione e della povertà: bisogna con essa implementare le strutture sociali.
Los Angeles Times: il programma africano di Gates contro l’AIDS mette a rischio i bambini
La miopia di Gates è evidente da questo altro passo fatto dalla sua filantropia.
Il Los Angeles Times riferisce che nel 2007 i doni generosi della Fondazione Gates per combattere l’ HIV/AIDS, la tubercolosi e la malaria in Africa hanno messo a rischio inavvertitamente molti bambini.[v]
A quel tempo, gli sforzi per combattere quelle malattie specifiche richiedevano un training medico altamente specializzato, che però portò ad una carenza di medici di base.
Cosi ironicamente più bambini morirono di malattie comuni come la diarrea e la sepsi (infezione generalizzata all'intero organismo, ndt).
Mentre non c’è dubbio che il denaro sia fondamentalmente importante per salvare le vite di bambini vulnerabili, non ci sarà nessun progresso se il denaro non viene diretto ai problemi di fondo che si basano primariamente sullo stile di vita.
Traduzione di Cristina Bassi
Fonte:
http://articles.mercola.com/sites/articles/archive/2010/02/20/gates-donates-10-billion-dollars-for-vaccines.aspx
Note:
[i] “Monsanto vice president joins the Gates Foundation” (October 19, 2006) Organic Consumers Association
[ii] Urvina S. “Malnutrition in Third World Countries” (1984)
[iii] Helm K. “Two words missing from Gates Foundation vocabulary” (July 30, 2009) Seattle Times
[iv] Avahan: India AIDS Initiative,
[v] Piller C and Smith D. “Unintended victims” (December 16, 2007) Los Angeles Times
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domenica 30 maggio 2010
Io non compro uova e latte
Io non compro uova e latte.
http://www.youtube.com/watch?v=gYTkM1OHFQg
http://www.youtube.com/watch?v=VoY8FHzg4jU&feature=channel
E non venitemi a contare balle: il posto per una capra e per 4 galline ce lo abbiamo tutti, spostando un pò una moto e un fuoristrada terza auto, un pezzo di giardino condominiale....
Con tutta l'erba che c'é in giro e che ci costa benzina e tempo per distruggerla...
E se proprio uno non ha il posto per tenere 4 galline e una capra, é meglio che faccia una piccola riflessione di dove é andato a finire, e con quale egoismo ha scaricato sugli altri la produzione del proprio cibo.
Buonanotte.
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http://www.youtube.com/watch?v=VoY8FHzg4jU&feature=channel
E non venitemi a contare balle: il posto per una capra e per 4 galline ce lo abbiamo tutti, spostando un pò una moto e un fuoristrada terza auto, un pezzo di giardino condominiale....
Con tutta l'erba che c'é in giro e che ci costa benzina e tempo per distruggerla...
E se proprio uno non ha il posto per tenere 4 galline e una capra, é meglio che faccia una piccola riflessione di dove é andato a finire, e con quale egoismo ha scaricato sugli altri la produzione del proprio cibo.
Buonanotte.
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sabato 29 maggio 2010
Buon Compleanno
Di amici picio ne ha avuti tanti; ma Pietro Giovannini é imbattibile. Per presentarvelo mi permetto di pubblicare l'invito al suo prossimo 40° compleanno, un concentrato di sado-coglio-schizzo umorismo, che lo rappresenta molto bene.
Andrò a questa festa, e chiaramente siete tutti invitati da me. Basta seguire il decalogo...
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Andrò a questa festa, e chiaramente siete tutti invitati da me. Basta seguire il decalogo...
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compleanno,
menomale che mi ha invitati,
picio,
pietro giovannini
venerdì 7 maggio 2010
Al sentire della Via
Al sentire della via, i migliori fra gli uomini l'esploreranno con zelo per intero.
La persona mediocre ne sente parlare e la adotta e la mette per iscritto.
Ma la gente volgare, al sentire la notizia, riderà forte, e se non ridesse, non sarebbe questa la via.
Lao-Tzu, Tao Te-Chang.
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La persona mediocre ne sente parlare e la adotta e la mette per iscritto.
Ma la gente volgare, al sentire la notizia, riderà forte, e se non ridesse, non sarebbe questa la via.
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giovedì 29 aprile 2010
La gran-a dle gran-e
Sëmnoma nòstre smens!
Ël materialism e l’avidità a son le carateristiche specifiche dl’umanità, da quandi che a l’ha ancaminaje ‘l sécol passà fin-a al dì d’ancheuj, sensa ecession.
Parlanda dë smens con ij mé amis e avsin, am ven da pensé che prest i saroma obliga d’andé a modifiché cò l’evangeli ‘d san Maté...
«Gesù a l’ha dije: un campagnin a l’é surtì për sëmné. E antant ch’a sëmnava, na part ëd la smens a l’é calà arlongh la stra, andoa ch’a son rivaje j’osej e a l’han mangiala. N’autra part dë smens a l’é calà an s’un teren giairos, andoa ch’a-i era pòca cotura....» Cost paisan ëd doimila agn andré a andava nen a caté la smens da dla dël Gran Baciass.
La predica
Cost artìcol, che a l’ha l’aira ‘d na bon-a predica, a l’é frut ëd costa meditassion: an sinquant’agn, ij campagnin a son fasse porté via le smens. Le smens a son la richëssa dla tèra, proprietà ëd Nosgnor Iddìo, e a son stà regalà a gratis ai contadin che a l’han sempre cujije ant ij sò camp, për pianteje l’ann dapress. E sonsì da vàire mila agn. E gnun a l’é mai mòrt ëd fam.
S’i stoma atent, i voghima che da sinquant’agn a rivé fin-a adess tuta la ròba a l’é pien-a ambalà ‘d malatìe, e a l’han fane chërde che pì gnente a peul nasse se la smens a l’é nen passà andrinta a le fabriche.
Sinquant’agn andré, an Italia a j’era pen-a finije la guèra, un pòch come an Iraq adess, e (varda cas) coj che a l’avo fà s-ciopé la guèra e peuj vagnala a son jë stess dl’Iraq d’adess. A l’han tacà, con sò agiut alimentar e agrìcoj, a masenté le materie prime ëd nòstr pais. Pian pian, con l’economìa ben studià, a l’han fane gavé le puntà e le gabie dla meira, për gavene l’autonomìa d’avèj nòstre smens an ca, e dovreje a fé polenta e mangim sensa dovèj caté gnente. Adess che la ròba a smija ch’a vala pì gnente, i tacoma a rendisse cont che tute le gròsse fabriche dë smens a son masentà da le sòlite famije ‘d Merican (varda cas), e che noi i soma diventà obligà a caté sempre le smens da lor (dasnò a-i nass pì gnente); sensa parlé dle maisin-e, che mai come adess a son stà indispensabile për coltivé fruta e vërdura.
La vita as cata nen
Ël muliné ëd Corgnan a paga 35 euro al quintal la meira d’eut file sëcca, e as peulo cheuje 10-12 quintaj për giornà, che vardand da la mira econòmica a fà ciapé tanti sòld come col bes-ciass ëd meira moderna àuta tre méter, che a ciucia tuta l’eva dij camp, che a sa ‘d van e che as peul nen mangesse. E se veule prové a angrassé le bes-ce - polastr bocin e crave - con la meira d'eut file, i podrai voghe che a ven-o bele lustre, ben grasse e ëd bon imor; e se veule, i peule ciapé ant ël sach un chilo dla vòstra farin-a, rivé a ca da vòstra fomna e dije: «Monica, buta sonsì a cheuse ansima al potagé che ancheuj i mangioma nòstra polenta». La polenta ch’a ven dai nòstri camp, andrugià con ël nòstr liam, piantà con le nòstre ziamente, cola che ‘t vai dontré vòlte dla sman-a për voghe se a “fà fila”, arcaussà e cudìa come na masnà.
Mangé toa ròba
E mentre ch’it mange toa polenta, che a ven da toa tèra, che a sarà ‘d sicur la ròba pì bon-a dël mond, it pense ch’i l’oma faje tròpi pastiss a costa tèra, për fé an manera ch’a rendèissa sempre pì tant, për ciapé sempre pì tanti sòld, e che adess costi sòld, un bel dì, a vniran a valej pì gnente, e noi i saroma sensa smens, sensa polenta, sensa farin-a, sensa forn për fé ‘l pan... Bela campagna!
Speroma ant la divin-a providensa? Nò, ròba veja costa! Speroma che ij merican a fasso nen saré col supermarket davsin a ca, andoa che a-i riva tute le ròbe pì bon-e dël mond, da le banane al salmon dël Cile. Beica ‘l bale dël forn e dla polenta: adess i soma diventà modern!
Batista
Copiright "Gazetta d'Alba" 2010
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Ël materialism e l’avidità a son le carateristiche specifiche dl’umanità, da quandi che a l’ha ancaminaje ‘l sécol passà fin-a al dì d’ancheuj, sensa ecession.
Parlanda dë smens con ij mé amis e avsin, am ven da pensé che prest i saroma obliga d’andé a modifiché cò l’evangeli ‘d san Maté...
«Gesù a l’ha dije: un campagnin a l’é surtì për sëmné. E antant ch’a sëmnava, na part ëd la smens a l’é calà arlongh la stra, andoa ch’a son rivaje j’osej e a l’han mangiala. N’autra part dë smens a l’é calà an s’un teren giairos, andoa ch’a-i era pòca cotura....» Cost paisan ëd doimila agn andré a andava nen a caté la smens da dla dël Gran Baciass.
La predica
Cost artìcol, che a l’ha l’aira ‘d na bon-a predica, a l’é frut ëd costa meditassion: an sinquant’agn, ij campagnin a son fasse porté via le smens. Le smens a son la richëssa dla tèra, proprietà ëd Nosgnor Iddìo, e a son stà regalà a gratis ai contadin che a l’han sempre cujije ant ij sò camp, për pianteje l’ann dapress. E sonsì da vàire mila agn. E gnun a l’é mai mòrt ëd fam.
S’i stoma atent, i voghima che da sinquant’agn a rivé fin-a adess tuta la ròba a l’é pien-a ambalà ‘d malatìe, e a l’han fane chërde che pì gnente a peul nasse se la smens a l’é nen passà andrinta a le fabriche.
Sinquant’agn andré, an Italia a j’era pen-a finije la guèra, un pòch come an Iraq adess, e (varda cas) coj che a l’avo fà s-ciopé la guèra e peuj vagnala a son jë stess dl’Iraq d’adess. A l’han tacà, con sò agiut alimentar e agrìcoj, a masenté le materie prime ëd nòstr pais. Pian pian, con l’economìa ben studià, a l’han fane gavé le puntà e le gabie dla meira, për gavene l’autonomìa d’avèj nòstre smens an ca, e dovreje a fé polenta e mangim sensa dovèj caté gnente. Adess che la ròba a smija ch’a vala pì gnente, i tacoma a rendisse cont che tute le gròsse fabriche dë smens a son masentà da le sòlite famije ‘d Merican (varda cas), e che noi i soma diventà obligà a caté sempre le smens da lor (dasnò a-i nass pì gnente); sensa parlé dle maisin-e, che mai come adess a son stà indispensabile për coltivé fruta e vërdura.
La vita as cata nen
Ël muliné ëd Corgnan a paga 35 euro al quintal la meira d’eut file sëcca, e as peulo cheuje 10-12 quintaj për giornà, che vardand da la mira econòmica a fà ciapé tanti sòld come col bes-ciass ëd meira moderna àuta tre méter, che a ciucia tuta l’eva dij camp, che a sa ‘d van e che as peul nen mangesse. E se veule prové a angrassé le bes-ce - polastr bocin e crave - con la meira d'eut file, i podrai voghe che a ven-o bele lustre, ben grasse e ëd bon imor; e se veule, i peule ciapé ant ël sach un chilo dla vòstra farin-a, rivé a ca da vòstra fomna e dije: «Monica, buta sonsì a cheuse ansima al potagé che ancheuj i mangioma nòstra polenta». La polenta ch’a ven dai nòstri camp, andrugià con ël nòstr liam, piantà con le nòstre ziamente, cola che ‘t vai dontré vòlte dla sman-a për voghe se a “fà fila”, arcaussà e cudìa come na masnà.
Mangé toa ròba
E mentre ch’it mange toa polenta, che a ven da toa tèra, che a sarà ‘d sicur la ròba pì bon-a dël mond, it pense ch’i l’oma faje tròpi pastiss a costa tèra, për fé an manera ch’a rendèissa sempre pì tant, për ciapé sempre pì tanti sòld, e che adess costi sòld, un bel dì, a vniran a valej pì gnente, e noi i saroma sensa smens, sensa polenta, sensa farin-a, sensa forn për fé ‘l pan... Bela campagna!
Speroma ant la divin-a providensa? Nò, ròba veja costa! Speroma che ij merican a fasso nen saré col supermarket davsin a ca, andoa che a-i riva tute le ròbe pì bon-e dël mond, da le banane al salmon dël Cile. Beica ‘l bale dël forn e dla polenta: adess i soma diventà modern!
Batista
Copiright "Gazetta d'Alba" 2010
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martedì 9 marzo 2010
L'INSABBIAMENTO CULTURALE DELLA "QUESTIONE MERIDIONALE"
La mia lettura preferita del 2009: uno dei libri al quale ho dedicato il mio anno passato. Ve lo presento in questo sunto, ma vi pregherei di comprarvelo, per aiutare l'autore, .Chiedetelo in libreria. buona lettura.
Molti storici in epoca moderna hanno fatto luce sugli eventi che hanno caratterizzato l'unità d'Italia dimostrando, con certezza, che la cultura di "regime" stese, dai primi anni dell'unità, un velo pietoso sulle vicende "risorgimentali" e sul loro reale evolversi.
Tutte le forme d'influenza sulla pubblica opinione furono messe in opera, per impedire che la sconfitta dei Borboni o la rivolta del popolo meridionale si colorasse di toni positivi.
Si cercò di rendere patetica e ridicola la figura di Francesco II - il "Franceschiello" della vulgata – arrivando alla volgarità di far fare dei fotomontaggi della Regina Maria Sofia in pose pornografiche, che furono spediti a tutti i governi d'Europa e a Francesco II stesso, il quale, figlio di una "santa" e allevato dai preti, con ogni probabilità non aveva mai visto sua moglie nuda nemmeno dal vivo. Risultò, in seguito, che i fotomontaggi erano stati eseguiti da una coppia di fotografi di dubbia fama, tali Diotallevi, che confessarono di aver agito su commissione del Comitato Nazionale; la vicenda suscitò scalpore e, benché falsa, servì allo scopo di incrinare la reputazione dei due sovrani in esilio.
La memoria di Re Ferdinando II, padre di Francesco, fu infangata da accuse di brutalità e ferocia: gli fu scritto dal Gladstone – interessatamente - d'essere stato - lui cattolicissimo - "la negazione di Dio".
Soprattutto si minimizzò l'entità della ribellione che infiammava tutto il l'ex Regno di Napoli, riducendolo a "volgare brigantaggio", come si legge nei giornali dell'epoca (giornali, peraltro, pubblicati solo al nord in quanto la libertà di stampa fu abolita al sud fino al 31 dicembre 1865); nasce così la leggenda risorgimentale della "cattiveria" dei Borboni contrapposta alla "bontà" dei piemontesi e dei Savoia che riempirà le pagine dei libri scolastici.
Restano a chiarire le motivazioni che hanno indotto gli ambienti accademici del Regno d'Italia prima, del periodo fascista e della Repubblica poi, a mantenere fin quasi ai giorni nostri, una versione dei fatti così lontana dalla verità.
A mio parere le ragioni sono composite, ma riconducibili ad un concetto che il D'Azeglio enunciò nel secolo scorso "Abbiamo fatto l'Italia, adesso bisogna fare gli Italiani", e possono essere esemplificate nel seguente modo:
a. Il mondo della cultura post-unitaria si adoperò per sradicare dalla coscienza e dalla memoria di quelle popolazioni che dovevano diventare italiane, il modo piratesco e cruentisissimo con il quale l'unità si ottenne, ammantando di leggende "l'eroico" operato dei Garibaldini (che sarebbero stati, nonostante tutto, schiacciati prima o poi dall'esercito borbonico), sminuendo il fatto che la reale conquista del meridione fu ottenuta, in realtà, dall'esercito piemontese, attraverso le vicende della guerra civile - nonostante la formale annessione al Regno di Piemonte - e tacendo, soprattutto, la circostanza che le popolazioni del sud, salvo una minoranza di latifondisti ed intellettuali, non avevano nessuna voglia di essere "liberate" e anzi reagirono violentemente contro coloro i quali, a ragione, erano considerati invasori.
Per contro si diede della deposta monarchia borbone un'immagine traviata e distorta, e del '700 e '800 napoletano la visione, bugiarda, di un periodo sinistro d'oppressione e miseria dal quale le genti del sud si emanciperanno, finalmente, con l'unità, liberate dai garibaldini e dai piemontesi dalla schiavitù dello "straniero".
b. Il Ministero della Pubblica Istruzione e della cultura popolare del periodo fascista, proteso com'era al perseguimento di valori nazionalistici e legato a filo doppio alla dinastia Savoia, non ebbe, per ovvi motivi, nessuna voglia di tipo "revisionista", riconducendo anzi l'origine della nazione al periodo romano e saltando a piè pari un millennio di storia meridionale. Il governo fascista ebbe l'indiscutibile merito di cercare di innescare un meccanismo di recupero economico della realtà meridionale, ma da un punto di vista storico insabbiò ancor di più la questione meridionale, ritenendola inutile e dannosa nell'impianto culturale del regime.
c. La Repubblica Italiana, nel dopoguerra, mantenne intatto, in sostanza, l'impianto di pubblica istruzione del periodo fascista.
La nazione emergeva, non bisogna dimenticarlo, da una guerra civile, nella quale le fazioni in lotta avevano, con la Repubblica di Salò, diviso in due l'Italia, il movimento indipendentista siciliano era in piena agitazione (erano gli anni delle imprese di Salvatore Giuliano), non era certamente il momento di sollevare dubbi sulla veridicità della storia risorgimentale e alimentare così tesi separatiste.
Si è arrivati in questo modo ai giorni nostri, dove ancora adesso, in molti libri scolastici, la storia d'Italia e del meridione in particolare è vergognosamente mistificata.
In campo economico la visione che si dette del Regno delle due Sicilie fu, se possibile, ancora più lontana dalla realtà effettuale.
Il Sud borbonico, come ci riporta Nicola Zitara era: "Un paese strutturato economicamente sulle sue dimensioni. Essendo, a quel tempo, gli scambi con l'estero facilitati dal fatto che nel settore delle produzioni mediterranee il paese meridionale era il piú avanzato al mondo, saggiamente i Borbone avevano scelto di trarre tutto il profitto possibile dai doni elargiti dalla natura e di proteggere la manifattura dalla concorrenza straniera. Il consistente surplus della bilancia commerciale permetteva il finanziamento d'industrie, le quali, erano sufficientemente grandi e diffuse, sebbene ancora non perfette e con una capacità di proiettarsi sul mercato internazionale limitata, come, d'altra parte, tutta l'industria italiana del tempo (e dei successivi cento anni). (...) Il Paese era pago di sé, alieno da ogni forma di espansionismo territoriale e coloniale. La sua evoluzione economica era lenta, ma sicura. Chi reggeva lo Stato era contrario alle scommesse politiche e preferiva misurare la crescita in relazione all'occupazione delle classi popolari. Nel sistema napoletano, la borghesia degli affari non era la classe egemone, a cui gli interessi generali erano ottusamente sacrificati, come nel Regno sardo, ma era una classe al servizio dell'economia nazionale".
In realtà il problema centrale dell'intera vicenda è che nel 1860 l'Italia si fece, ma si fece malissimo. Al di là delle orribili stragi che l'unità apportò, le genti del Sud patiscono ancora ed in maniera evidentissima i guasti di un processo di unificazione politica dell'Italia che fu attuato senza tenere in minimo conto le diversità, le esigenze economiche e le aspirazioni delle popolazioni che venivano aggregate.
La formula del "piemontismo", vale a dire della mera e pedissequa estensione degli ordinamenti giuridici ed economici del Regno di Piemonte all'intero territorio italiano, che fu adottata dal governo, e i provvedimenti "rapina" che si fecero ai danni dell'erario del Regno di Napoli, determinarono un'immediata e disastrosa crisi del sistema sociale ed economico nei territori dell'ex Regno di Napoli e il suo irreversibile collasso.
D'altronde le motivazioni politiche che avevano portato all'unità erano – come sempre accade – in subordine rispetto a quelle economiche.
Se si parte dall'assunto, ampiamente dimostrato, che lo stato finanziario del meridione era ben solido nel 1860, si comprendono meglio i meccanismi che hanno innescato la sua rovina.
Nel quadro della politica liberista impostata da Cavour, il paese meridionale, con i suoi quasi nove milioni di abitanti, con il suo notevole risparmio, con le sue entrate in valuta estera, appariva un boccone prelibato.
L'abnorme debito pubblico dello stato piemontese procurato dalla politica bellicosa ed espansionista del Cavour (tre guerre in dieci anni!) doveva essere risanato e la bramosia della classe borghese piemontese per la quale le guerre si erano fatte (e alla quale il Cavour stesso apparteneva a pieno titolo) doveva essere, in qualche modo, soddisfatta.
Descrivere vicende economiche e legate al mondo delle banche e della finanza, può risultare al lettore, me ne rendo conto, noioso, ma non è possibile comprendere alcune vicende se ne conoscono le intime implicazioni.
Lo stato sabaudo si era dotato di un sistema monetario che prevedeva l'emissione di carta moneta mentre il sistema borbonico emetteva solo monete d'oro e d'argento insieme alle cosiddette "fedi di credito" e alle "polizze notate" alle quali però corrispondeva l'esatto controvalore in oro versato nelle casse del Banco delle Due Sicilie.
Il problema piemontese consisteva nel mancato rispetto della "convertibilità" della propria moneta, vale a dire che per ogni lira di carta piemontese non corrispondeva un equivalente valore in oro versato presso l'istituto bancario emittente, ciò dovuto alla folle politica di spesa per gli armamenti dello stato.
In parole povere la valuta piemontese era carta straccia, mentre quella napolitana era solidissima e convertibile per sua propria natura (una moneta borbonica doveva il suo valore a se stessa in quanto la quantità d'oro o d'argento in essa contenuta aveva valore pressoché uguale a quello nominale).
Quindi cita ancora lo Zitara: "Senza il saccheggio del risparmio storico del paese borbonico, l'Italia sabauda non avrebbe avuto un avvenire. Sulla stessa risorsa faceva assegnamento la Banca Nazionale degli Stati Sardi. La montagna di denaro circolante al Sud avrebbe fornito cinquecento milioni di monete d'oro e d'argento, una massa imponente da destinare a riserva, su cui la banca d'emissione sarda - che in quel momento ne aveva soltanto per cento milioni - avrebbe potuto costruire un castello di cartamoneta bancaria alto tre miliardi. Come il Diavolo, Bombrini, Bastogi e Balduino (titolari e fondatori della banca, che sarebbe poi divenuta Banca d'Italia) non tessevano e non filavano, eppure avevano messo su bottega per vendere lana. Insomma, per i piemontesi, il saccheggio del Sud era l'unica risposta a portata di mano, per tentare di superare i guai in cui s'erano messi".
A seguito dell'occupazione piemontese fu immediatamente impedito al Banco delle Due Sicilie (diviso poi in Banco di Napoli e Banco di Sicilia) di rastrellare dal mercato le proprie monete per trasformarle in carta moneta così come previsto dall'ordinamento piemontese, poiché in tal modo i banchi avrebbero potuto emettere carta moneta per un valore di 1200 milioni e avrebbero potuto controllare tutto il mercato finanziario italiano (benché ai due banchi fu consentito di emettere carta moneta ancora per qualche anno). Quell'oro, invece, attraverso apposite manovre passò nelle casse piemontesi.
Tuttavia nella riserva della nuova Banca d'Italia, non risultò esserci tutto l'oro incamerato (si vedano a proposito gli Atti Parlamentari dell'epoca).
Evidentemente parte di questo aveva preso altre vie, che per la maggior parte furono quelle della costituzione e finanziamento di imprese al nord operato da nuove banche del nord che avrebbero investito al nord, ma con gli enormi capitali rastrellati al sud.
Ancora adesso, a ben vedere, il sistema creditizio del meridione risente dell'impostazione che allora si diede. Gli istituti di credito adottano ancora oggi politiche ben diverse fra il nord ed il sud, effettuando la raccolta del risparmio nel meridione e gli investimenti nel settentrione.
Il colpo di grazia all'economia del sud fu dato sommando il debito pubblico piemontese, enorme nel 1859 (lo stato più indebitato d'Europa), all'irrilevante debito pubblico del Regno delle due Sicilie, dotato di un sistema di finanza pubblica che forse rigidamente poco investiva, ma che pochissimo prelevava dalle tasche dei propri sudditi. Il risultato fu che le popolazioni e le imprese del Sud, dovettero sopportare una pressione fiscale enorme, sia per pagare i debiti contratti dal governo Savoia nel periodo preunitario (anche quelli per comprare quei cannoni a canna rigata che permisero la vittoria sull'esercito borbonico), sia i debiti che il governo italiano contrarrà a seguire: esso in una folle corsa all''armamento, caratterizzato da scandali e corruzione, diventò, con i suoi titoli di stato, lo zimbello delle piazze economiche d'Europa.
Scrive ancora lo storico Zitara: "La retorica unitaria, che coprì interessi particolari, non deve trarre in inganno. Le scelte innovative adottate da Cavour, quando furono imposte all'intera Italia, si erano già rivelate fallimentari in Piemonte. A voler insistere su quella strada fu il cinismo politico di Cavour e dei suoi successori, l'uno e gli altri più uomini di banca che veri patrioti. Una modificazione di rotta sarebbe equivalsa a un'autosconfessione. Quando, alle fine, quelle "innovazioni", vennero imposte anche al Sud, ebbero la funzione di un cappio al collo.
Bastò qualche mese perché le articolazioni manifatturiere del paese, che non avevano bisogno di ulteriori allargamenti di mercato per ben funzionare, venissero soffocate.
L'agricoltura, che alimentava il commercio estero, una volta liberata dei vincoli che i Borbone imponevano all'esportazione delle derrate di largo consumo popolare, registrò una crescita smodata e incontrollabile e ci vollero ben venti anni perché i governi sabaudi arrivassero a prostrarla. Da subito, lo Stato unitario fu il peggior nemico che il Sud avesse mai avuto; peggio degli angioini, degli aragonesi, degli spagnoli, degli austriaci, dei francesi, sia i rivoluzionari che gli imperiali".
Per contro una politica di sviluppo, fra mille errori e disastri economici epocali (basti pensare al fallimento della Banca Romana, principale finanziatrice dello stato unitario o allo scandalo Bastogi per l'assegnazione delle commesse ferroviarie), fu attuata solo al Nord mentre il Sud finì per pagare sia le spese della guerra d'annessione, sia i costi divenuti astronomici dell'ammodernamento del settentrione.
Il governo di Torino adottò nei confronti dell'ex Regno di Napoli una politica di mero sfruttamento di tipo "colonialista" tanto da far esclamare al deputato Francesco Noto nella seduta parlamentare del 20 novembre 1861: "Questa è invasione non unione, non annessione! Questo è voler sfruttare la nostra terra come conquista. Il governo di Piemonte vuol trattare le province meridionali come il Cortez ed il Pizarro facevano nel Perú e nel Messico, come gli inglesi nel regno del Bengala".
La politica dissennatamente liberistica del governo unitario portò, peraltro, la neonata e debolissima economia dell'Italia unita a un crack finanziario.
Le grandi società d'affari francesi ed inglesi fecero invece, attraverso i loro mediatori piemontesi, affari d'oro.
Nel 1866, nonostante il considerevole apporto aureo delle banche del sud, la moneta italiana fu costretta al "corso forzoso" cioè fu considerata dalle piazze finanziarie inconvertibile in oro. Segno inequivocabile di uno stato delle finanze disastroso e di un'inflazione stellare. I titoli di stato italiani arrivarono a valere due terzi del valore nominale, quando quelli emessi dal governo borbonico avevano un rendimento medio del 18%.
Ci vorranno molti decenni perché l'Italia postunitaria, dal punto di vista economico, possa riconquistare una qualche credibilità.
L'odierna arretratezza economica del Meridione è figlia di quelle scelte scellerate e di almeno un cinquantennio di politica economica dissennata e assolutamente dimentica dell'ex Regno di Napoli da parte dello stato unitario.
Si dovrà aspettare il periodo fascista per vedere intrapresa una qualche politica di sviluppo del Meridione con un intervento strutturale sul suo territorio attraverso la costruzione di strade, scuole, acquedotti (quello pugliese su tutti), distillerie ed opifici, la ripresa di una politica di bonifica dei fondi agricoli, il completamento di alcune linee ferroviarie come la Foggia-Capo di Leuca, - iniziata da Ferdinando II di Borbone, dimenticata dai governi sabaudi e finalmente terminata da quello fascista.
Ma il danni e i disastri erano già fatti: una vera economia nel sud non esisteva più e le sue forze più giovani e migliori erano emigrate all'estero.
Nonostante gli interventi negli anni '50 del XX secolo con il piano Marshall (peraltro con nuove sperequazioni tra nord e sud), '60 e '70 con la Cassa per il Mezzogiorno e l'aiuto economico dell'Unione Europea ai giorni nostri, il divario che separa il Sud dal resto d'Italia è ancora notevole.
La popolazione dell'ex Regno di Napoli, falcidiata dagli eccidi del periodo del "brigantaggio", stremata da anni di guerra, di devastazioni e nefandezze d'ogni genere, per sopravvivere, darà vita alla grandiosa emigrazione transoceanica degli ultimi decenni dell''800, che continuerà, con una breve inversione di tendenza nel periodo fascista e una diversificazione delle mete che diventeranno il Belgio, la Germania, la Svizzera, fin quasi ai giorni nostri.
Il Sud pagherà, ancora una volta, con il flusso finanziario generato dal lavoro e dal sacrificio degli emigranti meridionali, lo sviluppo dell'Italia industriale.
Ritengo, in conclusione, che sia un diritto delle gente meridionale riappropriarsi di quel pezzo di storia patria che dopo il 1860 le fu strappato e un dovere del corpo insegnanti dello stato favorire un'analisi storica più oggettiva di quei fatti che tanto peso hanno avuto ed hanno ancora nello sviluppo sociale del Paese, anche attraverso una scelta dei testi scolastici più oculata ed imparziale.
La guerra fra il nord ed il sud d'Italia non si combatte più sui campi di battaglia del Volturno, del Garigliano, sugli spalti di Gaeta o nelle campagne infestate dai "briganti", ma non per questo è meno viva; continua ancora oggi sul terreno di una cultura storica retriva e bugiarda che, alimentando una visione del sud "geneticamente" arretrato, produce un'ulteriore frattura tra due "etnie" che non si sono amate mai.
Il dibattito ancora aperto e vivace sull'ipotesi di una Italia federalista, i toni accesi del Partito della Lega Nord, una certa avversione, subdola ma reale, tra la gente del nord e quella del sud, nonostante il "rimescolamento" dovuto all'emigrazione interna, testimoniano quanto queste problematiche, nate nel 1860, siano ancora attualissime.
Oggi l'unità dello stato, in un periodo dove il progresso passa attraverso enti politico-economici sopranazionali come la Comunità Europea, è certamente un valore da salvaguardare, ma al meridione è dovuta una politica ed una attenzione particolari, una politica legata ai suoi effettivi interessi, che valorizzi le sue enormi risorse e assecondi le sue vocazioni, a parziale indennizzo dei disastri e delle ingiustizie che l'unità vi ha apportato.
L'enorme numero di morti che costò l'annessione, i 23 milioni di emigrati dal meridione dell'ultimo secolo, che hanno sommamente contribuito, a costo di immani sforzi, alla realizzazione di un'Italia moderna e vivibile, meritano quel concreto riconoscimento e quel rispetto che per 140 anni lo Stato, attraverso una cultura storica mendace, gli ha negato e che oggi gli eredi della Nazione Napoletana reclamano.
di CARLO COPPOLA
"Controstoria dell'Unità d'Italia"
M.C.E. Editore
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"Controstoria dell'Unità d'Italia" di CARLO COPPOLA M.C.E. Editore
Molti storici in epoca moderna hanno fatto luce sugli eventi che hanno caratterizzato l'unità d'Italia dimostrando, con certezza, che la cultura di "regime" stese, dai primi anni dell'unità, un velo pietoso sulle vicende "risorgimentali" e sul loro reale evolversi.
Tutte le forme d'influenza sulla pubblica opinione furono messe in opera, per impedire che la sconfitta dei Borboni o la rivolta del popolo meridionale si colorasse di toni positivi.
Si cercò di rendere patetica e ridicola la figura di Francesco II - il "Franceschiello" della vulgata – arrivando alla volgarità di far fare dei fotomontaggi della Regina Maria Sofia in pose pornografiche, che furono spediti a tutti i governi d'Europa e a Francesco II stesso, il quale, figlio di una "santa" e allevato dai preti, con ogni probabilità non aveva mai visto sua moglie nuda nemmeno dal vivo. Risultò, in seguito, che i fotomontaggi erano stati eseguiti da una coppia di fotografi di dubbia fama, tali Diotallevi, che confessarono di aver agito su commissione del Comitato Nazionale; la vicenda suscitò scalpore e, benché falsa, servì allo scopo di incrinare la reputazione dei due sovrani in esilio.
La memoria di Re Ferdinando II, padre di Francesco, fu infangata da accuse di brutalità e ferocia: gli fu scritto dal Gladstone – interessatamente - d'essere stato - lui cattolicissimo - "la negazione di Dio".
Soprattutto si minimizzò l'entità della ribellione che infiammava tutto il l'ex Regno di Napoli, riducendolo a "volgare brigantaggio", come si legge nei giornali dell'epoca (giornali, peraltro, pubblicati solo al nord in quanto la libertà di stampa fu abolita al sud fino al 31 dicembre 1865); nasce così la leggenda risorgimentale della "cattiveria" dei Borboni contrapposta alla "bontà" dei piemontesi e dei Savoia che riempirà le pagine dei libri scolastici.
Restano a chiarire le motivazioni che hanno indotto gli ambienti accademici del Regno d'Italia prima, del periodo fascista e della Repubblica poi, a mantenere fin quasi ai giorni nostri, una versione dei fatti così lontana dalla verità.
A mio parere le ragioni sono composite, ma riconducibili ad un concetto che il D'Azeglio enunciò nel secolo scorso "Abbiamo fatto l'Italia, adesso bisogna fare gli Italiani", e possono essere esemplificate nel seguente modo:
a. Il mondo della cultura post-unitaria si adoperò per sradicare dalla coscienza e dalla memoria di quelle popolazioni che dovevano diventare italiane, il modo piratesco e cruentisissimo con il quale l'unità si ottenne, ammantando di leggende "l'eroico" operato dei Garibaldini (che sarebbero stati, nonostante tutto, schiacciati prima o poi dall'esercito borbonico), sminuendo il fatto che la reale conquista del meridione fu ottenuta, in realtà, dall'esercito piemontese, attraverso le vicende della guerra civile - nonostante la formale annessione al Regno di Piemonte - e tacendo, soprattutto, la circostanza che le popolazioni del sud, salvo una minoranza di latifondisti ed intellettuali, non avevano nessuna voglia di essere "liberate" e anzi reagirono violentemente contro coloro i quali, a ragione, erano considerati invasori.
Per contro si diede della deposta monarchia borbone un'immagine traviata e distorta, e del '700 e '800 napoletano la visione, bugiarda, di un periodo sinistro d'oppressione e miseria dal quale le genti del sud si emanciperanno, finalmente, con l'unità, liberate dai garibaldini e dai piemontesi dalla schiavitù dello "straniero".
b. Il Ministero della Pubblica Istruzione e della cultura popolare del periodo fascista, proteso com'era al perseguimento di valori nazionalistici e legato a filo doppio alla dinastia Savoia, non ebbe, per ovvi motivi, nessuna voglia di tipo "revisionista", riconducendo anzi l'origine della nazione al periodo romano e saltando a piè pari un millennio di storia meridionale. Il governo fascista ebbe l'indiscutibile merito di cercare di innescare un meccanismo di recupero economico della realtà meridionale, ma da un punto di vista storico insabbiò ancor di più la questione meridionale, ritenendola inutile e dannosa nell'impianto culturale del regime.
c. La Repubblica Italiana, nel dopoguerra, mantenne intatto, in sostanza, l'impianto di pubblica istruzione del periodo fascista.
La nazione emergeva, non bisogna dimenticarlo, da una guerra civile, nella quale le fazioni in lotta avevano, con la Repubblica di Salò, diviso in due l'Italia, il movimento indipendentista siciliano era in piena agitazione (erano gli anni delle imprese di Salvatore Giuliano), non era certamente il momento di sollevare dubbi sulla veridicità della storia risorgimentale e alimentare così tesi separatiste.
Si è arrivati in questo modo ai giorni nostri, dove ancora adesso, in molti libri scolastici, la storia d'Italia e del meridione in particolare è vergognosamente mistificata.
In campo economico la visione che si dette del Regno delle due Sicilie fu, se possibile, ancora più lontana dalla realtà effettuale.
Il Sud borbonico, come ci riporta Nicola Zitara era: "Un paese strutturato economicamente sulle sue dimensioni. Essendo, a quel tempo, gli scambi con l'estero facilitati dal fatto che nel settore delle produzioni mediterranee il paese meridionale era il piú avanzato al mondo, saggiamente i Borbone avevano scelto di trarre tutto il profitto possibile dai doni elargiti dalla natura e di proteggere la manifattura dalla concorrenza straniera. Il consistente surplus della bilancia commerciale permetteva il finanziamento d'industrie, le quali, erano sufficientemente grandi e diffuse, sebbene ancora non perfette e con una capacità di proiettarsi sul mercato internazionale limitata, come, d'altra parte, tutta l'industria italiana del tempo (e dei successivi cento anni). (...) Il Paese era pago di sé, alieno da ogni forma di espansionismo territoriale e coloniale. La sua evoluzione economica era lenta, ma sicura. Chi reggeva lo Stato era contrario alle scommesse politiche e preferiva misurare la crescita in relazione all'occupazione delle classi popolari. Nel sistema napoletano, la borghesia degli affari non era la classe egemone, a cui gli interessi generali erano ottusamente sacrificati, come nel Regno sardo, ma era una classe al servizio dell'economia nazionale".
In realtà il problema centrale dell'intera vicenda è che nel 1860 l'Italia si fece, ma si fece malissimo. Al di là delle orribili stragi che l'unità apportò, le genti del Sud patiscono ancora ed in maniera evidentissima i guasti di un processo di unificazione politica dell'Italia che fu attuato senza tenere in minimo conto le diversità, le esigenze economiche e le aspirazioni delle popolazioni che venivano aggregate.
La formula del "piemontismo", vale a dire della mera e pedissequa estensione degli ordinamenti giuridici ed economici del Regno di Piemonte all'intero territorio italiano, che fu adottata dal governo, e i provvedimenti "rapina" che si fecero ai danni dell'erario del Regno di Napoli, determinarono un'immediata e disastrosa crisi del sistema sociale ed economico nei territori dell'ex Regno di Napoli e il suo irreversibile collasso.
D'altronde le motivazioni politiche che avevano portato all'unità erano – come sempre accade – in subordine rispetto a quelle economiche.
Se si parte dall'assunto, ampiamente dimostrato, che lo stato finanziario del meridione era ben solido nel 1860, si comprendono meglio i meccanismi che hanno innescato la sua rovina.
Nel quadro della politica liberista impostata da Cavour, il paese meridionale, con i suoi quasi nove milioni di abitanti, con il suo notevole risparmio, con le sue entrate in valuta estera, appariva un boccone prelibato.
L'abnorme debito pubblico dello stato piemontese procurato dalla politica bellicosa ed espansionista del Cavour (tre guerre in dieci anni!) doveva essere risanato e la bramosia della classe borghese piemontese per la quale le guerre si erano fatte (e alla quale il Cavour stesso apparteneva a pieno titolo) doveva essere, in qualche modo, soddisfatta.
Descrivere vicende economiche e legate al mondo delle banche e della finanza, può risultare al lettore, me ne rendo conto, noioso, ma non è possibile comprendere alcune vicende se ne conoscono le intime implicazioni.
Lo stato sabaudo si era dotato di un sistema monetario che prevedeva l'emissione di carta moneta mentre il sistema borbonico emetteva solo monete d'oro e d'argento insieme alle cosiddette "fedi di credito" e alle "polizze notate" alle quali però corrispondeva l'esatto controvalore in oro versato nelle casse del Banco delle Due Sicilie.
Il problema piemontese consisteva nel mancato rispetto della "convertibilità" della propria moneta, vale a dire che per ogni lira di carta piemontese non corrispondeva un equivalente valore in oro versato presso l'istituto bancario emittente, ciò dovuto alla folle politica di spesa per gli armamenti dello stato.
In parole povere la valuta piemontese era carta straccia, mentre quella napolitana era solidissima e convertibile per sua propria natura (una moneta borbonica doveva il suo valore a se stessa in quanto la quantità d'oro o d'argento in essa contenuta aveva valore pressoché uguale a quello nominale).
Quindi cita ancora lo Zitara: "Senza il saccheggio del risparmio storico del paese borbonico, l'Italia sabauda non avrebbe avuto un avvenire. Sulla stessa risorsa faceva assegnamento la Banca Nazionale degli Stati Sardi. La montagna di denaro circolante al Sud avrebbe fornito cinquecento milioni di monete d'oro e d'argento, una massa imponente da destinare a riserva, su cui la banca d'emissione sarda - che in quel momento ne aveva soltanto per cento milioni - avrebbe potuto costruire un castello di cartamoneta bancaria alto tre miliardi. Come il Diavolo, Bombrini, Bastogi e Balduino (titolari e fondatori della banca, che sarebbe poi divenuta Banca d'Italia) non tessevano e non filavano, eppure avevano messo su bottega per vendere lana. Insomma, per i piemontesi, il saccheggio del Sud era l'unica risposta a portata di mano, per tentare di superare i guai in cui s'erano messi".
A seguito dell'occupazione piemontese fu immediatamente impedito al Banco delle Due Sicilie (diviso poi in Banco di Napoli e Banco di Sicilia) di rastrellare dal mercato le proprie monete per trasformarle in carta moneta così come previsto dall'ordinamento piemontese, poiché in tal modo i banchi avrebbero potuto emettere carta moneta per un valore di 1200 milioni e avrebbero potuto controllare tutto il mercato finanziario italiano (benché ai due banchi fu consentito di emettere carta moneta ancora per qualche anno). Quell'oro, invece, attraverso apposite manovre passò nelle casse piemontesi.
Tuttavia nella riserva della nuova Banca d'Italia, non risultò esserci tutto l'oro incamerato (si vedano a proposito gli Atti Parlamentari dell'epoca).
Evidentemente parte di questo aveva preso altre vie, che per la maggior parte furono quelle della costituzione e finanziamento di imprese al nord operato da nuove banche del nord che avrebbero investito al nord, ma con gli enormi capitali rastrellati al sud.
Ancora adesso, a ben vedere, il sistema creditizio del meridione risente dell'impostazione che allora si diede. Gli istituti di credito adottano ancora oggi politiche ben diverse fra il nord ed il sud, effettuando la raccolta del risparmio nel meridione e gli investimenti nel settentrione.
Il colpo di grazia all'economia del sud fu dato sommando il debito pubblico piemontese, enorme nel 1859 (lo stato più indebitato d'Europa), all'irrilevante debito pubblico del Regno delle due Sicilie, dotato di un sistema di finanza pubblica che forse rigidamente poco investiva, ma che pochissimo prelevava dalle tasche dei propri sudditi. Il risultato fu che le popolazioni e le imprese del Sud, dovettero sopportare una pressione fiscale enorme, sia per pagare i debiti contratti dal governo Savoia nel periodo preunitario (anche quelli per comprare quei cannoni a canna rigata che permisero la vittoria sull'esercito borbonico), sia i debiti che il governo italiano contrarrà a seguire: esso in una folle corsa all''armamento, caratterizzato da scandali e corruzione, diventò, con i suoi titoli di stato, lo zimbello delle piazze economiche d'Europa.
Scrive ancora lo storico Zitara: "La retorica unitaria, che coprì interessi particolari, non deve trarre in inganno. Le scelte innovative adottate da Cavour, quando furono imposte all'intera Italia, si erano già rivelate fallimentari in Piemonte. A voler insistere su quella strada fu il cinismo politico di Cavour e dei suoi successori, l'uno e gli altri più uomini di banca che veri patrioti. Una modificazione di rotta sarebbe equivalsa a un'autosconfessione. Quando, alle fine, quelle "innovazioni", vennero imposte anche al Sud, ebbero la funzione di un cappio al collo.
Bastò qualche mese perché le articolazioni manifatturiere del paese, che non avevano bisogno di ulteriori allargamenti di mercato per ben funzionare, venissero soffocate.
L'agricoltura, che alimentava il commercio estero, una volta liberata dei vincoli che i Borbone imponevano all'esportazione delle derrate di largo consumo popolare, registrò una crescita smodata e incontrollabile e ci vollero ben venti anni perché i governi sabaudi arrivassero a prostrarla. Da subito, lo Stato unitario fu il peggior nemico che il Sud avesse mai avuto; peggio degli angioini, degli aragonesi, degli spagnoli, degli austriaci, dei francesi, sia i rivoluzionari che gli imperiali".
Per contro una politica di sviluppo, fra mille errori e disastri economici epocali (basti pensare al fallimento della Banca Romana, principale finanziatrice dello stato unitario o allo scandalo Bastogi per l'assegnazione delle commesse ferroviarie), fu attuata solo al Nord mentre il Sud finì per pagare sia le spese della guerra d'annessione, sia i costi divenuti astronomici dell'ammodernamento del settentrione.
Il governo di Torino adottò nei confronti dell'ex Regno di Napoli una politica di mero sfruttamento di tipo "colonialista" tanto da far esclamare al deputato Francesco Noto nella seduta parlamentare del 20 novembre 1861: "Questa è invasione non unione, non annessione! Questo è voler sfruttare la nostra terra come conquista. Il governo di Piemonte vuol trattare le province meridionali come il Cortez ed il Pizarro facevano nel Perú e nel Messico, come gli inglesi nel regno del Bengala".
La politica dissennatamente liberistica del governo unitario portò, peraltro, la neonata e debolissima economia dell'Italia unita a un crack finanziario.
Le grandi società d'affari francesi ed inglesi fecero invece, attraverso i loro mediatori piemontesi, affari d'oro.
Nel 1866, nonostante il considerevole apporto aureo delle banche del sud, la moneta italiana fu costretta al "corso forzoso" cioè fu considerata dalle piazze finanziarie inconvertibile in oro. Segno inequivocabile di uno stato delle finanze disastroso e di un'inflazione stellare. I titoli di stato italiani arrivarono a valere due terzi del valore nominale, quando quelli emessi dal governo borbonico avevano un rendimento medio del 18%.
Ci vorranno molti decenni perché l'Italia postunitaria, dal punto di vista economico, possa riconquistare una qualche credibilità.
L'odierna arretratezza economica del Meridione è figlia di quelle scelte scellerate e di almeno un cinquantennio di politica economica dissennata e assolutamente dimentica dell'ex Regno di Napoli da parte dello stato unitario.
Si dovrà aspettare il periodo fascista per vedere intrapresa una qualche politica di sviluppo del Meridione con un intervento strutturale sul suo territorio attraverso la costruzione di strade, scuole, acquedotti (quello pugliese su tutti), distillerie ed opifici, la ripresa di una politica di bonifica dei fondi agricoli, il completamento di alcune linee ferroviarie come la Foggia-Capo di Leuca, - iniziata da Ferdinando II di Borbone, dimenticata dai governi sabaudi e finalmente terminata da quello fascista.
Ma il danni e i disastri erano già fatti: una vera economia nel sud non esisteva più e le sue forze più giovani e migliori erano emigrate all'estero.
Nonostante gli interventi negli anni '50 del XX secolo con il piano Marshall (peraltro con nuove sperequazioni tra nord e sud), '60 e '70 con la Cassa per il Mezzogiorno e l'aiuto economico dell'Unione Europea ai giorni nostri, il divario che separa il Sud dal resto d'Italia è ancora notevole.
La popolazione dell'ex Regno di Napoli, falcidiata dagli eccidi del periodo del "brigantaggio", stremata da anni di guerra, di devastazioni e nefandezze d'ogni genere, per sopravvivere, darà vita alla grandiosa emigrazione transoceanica degli ultimi decenni dell''800, che continuerà, con una breve inversione di tendenza nel periodo fascista e una diversificazione delle mete che diventeranno il Belgio, la Germania, la Svizzera, fin quasi ai giorni nostri.
Il Sud pagherà, ancora una volta, con il flusso finanziario generato dal lavoro e dal sacrificio degli emigranti meridionali, lo sviluppo dell'Italia industriale.
Ritengo, in conclusione, che sia un diritto delle gente meridionale riappropriarsi di quel pezzo di storia patria che dopo il 1860 le fu strappato e un dovere del corpo insegnanti dello stato favorire un'analisi storica più oggettiva di quei fatti che tanto peso hanno avuto ed hanno ancora nello sviluppo sociale del Paese, anche attraverso una scelta dei testi scolastici più oculata ed imparziale.
La guerra fra il nord ed il sud d'Italia non si combatte più sui campi di battaglia del Volturno, del Garigliano, sugli spalti di Gaeta o nelle campagne infestate dai "briganti", ma non per questo è meno viva; continua ancora oggi sul terreno di una cultura storica retriva e bugiarda che, alimentando una visione del sud "geneticamente" arretrato, produce un'ulteriore frattura tra due "etnie" che non si sono amate mai.
Il dibattito ancora aperto e vivace sull'ipotesi di una Italia federalista, i toni accesi del Partito della Lega Nord, una certa avversione, subdola ma reale, tra la gente del nord e quella del sud, nonostante il "rimescolamento" dovuto all'emigrazione interna, testimoniano quanto queste problematiche, nate nel 1860, siano ancora attualissime.
Oggi l'unità dello stato, in un periodo dove il progresso passa attraverso enti politico-economici sopranazionali come la Comunità Europea, è certamente un valore da salvaguardare, ma al meridione è dovuta una politica ed una attenzione particolari, una politica legata ai suoi effettivi interessi, che valorizzi le sue enormi risorse e assecondi le sue vocazioni, a parziale indennizzo dei disastri e delle ingiustizie che l'unità vi ha apportato.
L'enorme numero di morti che costò l'annessione, i 23 milioni di emigrati dal meridione dell'ultimo secolo, che hanno sommamente contribuito, a costo di immani sforzi, alla realizzazione di un'Italia moderna e vivibile, meritano quel concreto riconoscimento e quel rispetto che per 140 anni lo Stato, attraverso una cultura storica mendace, gli ha negato e che oggi gli eredi della Nazione Napoletana reclamano.
di CARLO COPPOLA
"Controstoria dell'Unità d'Italia"
M.C.E. Editore
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lunedì 8 marzo 2010
Maschi e femmine
Ho promesso ad un amico ospite di scrivere un giorno o l'altro questa storia, in italiano, ed ora mi accingo a farlo.
E' capitato ad inizio del 2009 che rimanessero in uno dei nostri recinti alcuni galli, un drappello di scampati alla castrazione (erano degli ex candidati a divenir capponi in un altro allevamento) che avevo comperato ed allevato per un anno.
25 maschi di pollo in eterna battaglia fra di loro, all'interno del recinto all'aperto. I giorni del loro abbattimento a scopo alimentare si compirono proprio in una settimana in cui, con un anziano signore ospite della domenica, si discuté a lungo sulla necessità o meno della presenza di uno o più galli all'interno del pollaio, insieme alle ovajole. Dall'inizio del nostro nuovo pollaio,specifico per la produzione di 70 uova circa al giorno, dal 2007, non avevo mai pensato di introdurre un gallo insieme alle galline, e non ne vedevo la necessità, vista la pacata e calma vita da pollaio che le nostre sacre poduttrici di uova svolgevano e svolgono tuttora. << Bisogna immettere almeno un gallo fa le galline>> disse questo anziano ospite. << le uova rimarrebbero più buone>>; altri interpellati mi parlarono di una percentuale di 4-6 % di galli all'interno del pollaio, che poi creano a loro volta diversi harem dividendosi le galline eccetera. A me continuava a suonare stonata questa storia della necessità del gallo.... mah...
Fatto stà che per facilità di cattura, i 25 galli finirono per qualche giorno nel box dei cavalli, praticamente adiacente al pollaio. Con Olivier quel giorno decidemmo di dare una boccata di libertà ai galli, liberandoli tutti e 25 in mezzo alle 80 galline, che mai conobbero maschio prima d'ora nella vita; lo fecimo per spirito di generosità nei confronti dei galletti tutti oramai condannati, ed anche per curiosità, e perché ci era venuto in mente e basta.
25 galli che erano rimasti mesi e mesi a prendersi a mazzate fra di loro tutto il giorno e la notte, a due metri dal recinto delle pacate galline che ad ogni uovo cantavano loro la poesia della libertà ; chissà che cosa sarebbe successo!
Catturare i galli non fu impresa facile, con un sacco pesante che buttai sugli inferociti li imprigionai a due-tre per volta: Olivier stava in disparte dicendo di averte un certo timore, dell'origine del quale mi avrebbe raccontato in seguito. Nel giro di 30 minuti i 25 gagliardi si trovaro in mezzo ad un patrimonio femminile di 80 galline circa, tutte cresciute a CAsa Scaparone senza conoscere maschio. Che avrebbero fatto, secndo voi,i galli una volta nel pollaio? 80 diviso 25 farebbe più di 3 femmine a testa: un tesoro!
I SOLITI MASCHI
UNa volta ispezionato con violenza la presenza di galline femmine vere all'interno di questo nuovo recinto, (le quali galline iniziarono a starnazzare, gridare e scappare a nascondersi da questa orda di selvaggi), invece di filarsi le galline ed appartarsi in intimità, che fanno i Galli: si menano ancora di più di prima, con una violenza mai vista sinora, iniziando combattimenti due contro due, tre contro cinque, tutti contro tutti!! E le galline? Risposero: <
UNA BRUTTA STORIA
Seguì una notte d'inferno: nessuno dormì; i gali continuarono a battersi per tutta la notte, le galline ad urlare e scappare; uova nenanche una per tre giorni!
Decidemmo così di iniziare l'abbattimento a scopo alimentare, e ci ponemmo il problema di quanti galli nel pollaio, e soprattutto quale dei galli?
Quella sera, a cena, l'amico Olivier mi raccontò la storia che fu origine del suo timore per i galli; la sua sorellina minore, quando stavano in Belgio, in campagna, un giorno all'età di 3 anni, fu aggredita dall'unico gallo del pollaio, che la piccò violentemente ad un occhi, quasi strappandoglielo, con delle conseguenze che si porta ancora dappresso. La notte pensai che se mai avessi lasciato un gallo nel pollaio, avrei dovuto compiere una accurata selezione, anche in base a questo nuovo criterio derivato dalla storia di Olivier e della sua sorellina.
LA NATURA ed il SUO CORSO
Se avessi lasciato scegliere alla natura, i due galli più grossi ed incazzati del pollaio avrebbero avuto facilmente la meglio; mi pare di aver letto che alla fine dei combattimenti, i galli sconfitti, non potendosene andare dal branco per ragioni pratiche (le nostre reti...), si sottomettano in una sorta di stato sessuale ibrido, che li trasforma in pseudo eunuchi a servizio o quantomeno sottomessi al vincitore del natural torneo. Ed i futuri bulli vincitori erano facili da individuare, vista l'aggressività e la potenza dei due più grossi e forti. Pensai che tutto ciò non fosse giusto, e soprattutto che i due spavaldi prepotenti avrebbero potuto costituire un serio pericolo per i miei bambini, una volta sbarazzatisi dei nemici ed impadronitisi del pollaio; Decisi che per una volta, avrei scelto io il vincitore, mentre gli altri candidati sarebbero finiti nella casseruola, invertendo il disegno della madre natura, e facendo vincere il torneo ad un gallo che non fosse troppo aggressivo.
C'era fra di loro un gallo un pò sfigatello, uno che nel branco se le sarebbe prese (come se le stava prendendo) un pò da tutti; non era ammalato, e nenanche troppo piccolo, però non era da combattimento come gli altri; magari appasssionato di informatica, tutto il giorno al computer in casa, con le pantofole d' inverno, dedito a leggere piuttosto che andare per strada a menare la mani; un galletto da terzo millennio, come forse lo sono stato io che di mazzate da bambino nel mio paese di campagna ne ho prese un pò da tutti. Una rivincita dei nerds, la mia decisione di sentirmi Padreterno e determinare la sorte dei bulli, tutti in pentola, lasciando al più sfigato tutte e 80 le galline.
TUTTO PER TE
E fu così che Ralph Mulf si trovò re del pollaio, mentre Fonzie e i suoi compari finirono nell'insalata di galletto. Questo gallo, mi dicevo, non avrebbe mai avuto l'arroganza di agggredire i bambini come successo alla sorellina di Olivier. Mi sentivo soddisfatto; come probabilmente si sentì il galletto, dopo aver visto sparire tutti i suoi violenti concorrenti. Devo dire che da subito il galletto mi parve addirittura un pò "ringaluzzito": una levatina al petto, una rizzata alla coda, e mi parve vederlo atto a svolgere il suo ruolo di maschio impollinatore. Tutto bene allora? L'essere umano si pone a regolatore dell'ecosistema, imprimendo agli ambienti animali un impianto di vita diverso dal loro naturale. La rivincita dei Nerds? Si può fare a meno di battersi per la sopravvivenza? Possiamo parlare di una alternativa? Mi sentivo soddisfatto.
Senonché dopo qualche settimana il nostro galletto che tutto subito sembra essersi trasformato in un buon capo pollaio, inizia a dare cenni di cedimento; questo tipo di animale, quando inizia ad ammalarsi, rallenta il passo, si muove di rado e con estrema lentezza, e smette di mangiare. In pochi giorni lo vidi fermo immobile contro un muro, dimagrito e nenanche le mie solite cure e i miei soliti lavaggi d'acqua non servirono a farlo riprendere.
LA MORALE
La morale di questa storia non é facile da trarre; forse il galletto non era naturalmente un capo branco da servire a 80 femmine come maschio; forse si ammalò casualmente , solo lui, di un male incurabile; oppure, forse, tutto questo era aun progetto per insegnarmi che non possiamo voler comandare il decorso degli eventi della vita e della natura, e che la nostra azione in mezzo alla natura e agli animali, non ha effetto perché alla fine la vita, la natura, La Madre Terra, vince sempre, o quantomeno fa quel che vuole.
Fatto sta che ora non abbiamo galli nel pollaio, ed i polli da allevamento sono ad una buona e giusta distanza dalle femmine ovajole, che continuano a depporre le loro sacre uova fra di loro, in pace e tranquillità, lontano dai maschi violenti, e soprattutto dagli uomini presuntuosi o irriverenti.
Grazie dell'attenzione.
Scaparon, 7 gennaio 2010.
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E' capitato ad inizio del 2009 che rimanessero in uno dei nostri recinti alcuni galli, un drappello di scampati alla castrazione (erano degli ex candidati a divenir capponi in un altro allevamento) che avevo comperato ed allevato per un anno.
25 maschi di pollo in eterna battaglia fra di loro, all'interno del recinto all'aperto. I giorni del loro abbattimento a scopo alimentare si compirono proprio in una settimana in cui, con un anziano signore ospite della domenica, si discuté a lungo sulla necessità o meno della presenza di uno o più galli all'interno del pollaio, insieme alle ovajole. Dall'inizio del nostro nuovo pollaio,specifico per la produzione di 70 uova circa al giorno, dal 2007, non avevo mai pensato di introdurre un gallo insieme alle galline, e non ne vedevo la necessità, vista la pacata e calma vita da pollaio che le nostre sacre poduttrici di uova svolgevano e svolgono tuttora. << Bisogna immettere almeno un gallo fa le galline>> disse questo anziano ospite. << le uova rimarrebbero più buone>>; altri interpellati mi parlarono di una percentuale di 4-6 % di galli all'interno del pollaio, che poi creano a loro volta diversi harem dividendosi le galline eccetera. A me continuava a suonare stonata questa storia della necessità del gallo.... mah...
Fatto stà che per facilità di cattura, i 25 galli finirono per qualche giorno nel box dei cavalli, praticamente adiacente al pollaio. Con Olivier quel giorno decidemmo di dare una boccata di libertà ai galli, liberandoli tutti e 25 in mezzo alle 80 galline, che mai conobbero maschio prima d'ora nella vita; lo fecimo per spirito di generosità nei confronti dei galletti tutti oramai condannati, ed anche per curiosità, e perché ci era venuto in mente e basta.
25 galli che erano rimasti mesi e mesi a prendersi a mazzate fra di loro tutto il giorno e la notte, a due metri dal recinto delle pacate galline che ad ogni uovo cantavano loro la poesia della libertà ; chissà che cosa sarebbe successo!
Catturare i galli non fu impresa facile, con un sacco pesante che buttai sugli inferociti li imprigionai a due-tre per volta: Olivier stava in disparte dicendo di averte un certo timore, dell'origine del quale mi avrebbe raccontato in seguito. Nel giro di 30 minuti i 25 gagliardi si trovaro in mezzo ad un patrimonio femminile di 80 galline circa, tutte cresciute a CAsa Scaparone senza conoscere maschio. Che avrebbero fatto, secndo voi,i galli una volta nel pollaio? 80 diviso 25 farebbe più di 3 femmine a testa: un tesoro!
I SOLITI MASCHI
UNa volta ispezionato con violenza la presenza di galline femmine vere all'interno di questo nuovo recinto, (le quali galline iniziarono a starnazzare, gridare e scappare a nascondersi da questa orda di selvaggi), invece di filarsi le galline ed appartarsi in intimità, che fanno i Galli: si menano ancora di più di prima, con una violenza mai vista sinora, iniziando combattimenti due contro due, tre contro cinque, tutti contro tutti!! E le galline? Risposero: <
UNA BRUTTA STORIA
Seguì una notte d'inferno: nessuno dormì; i gali continuarono a battersi per tutta la notte, le galline ad urlare e scappare; uova nenanche una per tre giorni!
Decidemmo così di iniziare l'abbattimento a scopo alimentare, e ci ponemmo il problema di quanti galli nel pollaio, e soprattutto quale dei galli?
Quella sera, a cena, l'amico Olivier mi raccontò la storia che fu origine del suo timore per i galli; la sua sorellina minore, quando stavano in Belgio, in campagna, un giorno all'età di 3 anni, fu aggredita dall'unico gallo del pollaio, che la piccò violentemente ad un occhi, quasi strappandoglielo, con delle conseguenze che si porta ancora dappresso. La notte pensai che se mai avessi lasciato un gallo nel pollaio, avrei dovuto compiere una accurata selezione, anche in base a questo nuovo criterio derivato dalla storia di Olivier e della sua sorellina.
LA NATURA ed il SUO CORSO
Se avessi lasciato scegliere alla natura, i due galli più grossi ed incazzati del pollaio avrebbero avuto facilmente la meglio; mi pare di aver letto che alla fine dei combattimenti, i galli sconfitti, non potendosene andare dal branco per ragioni pratiche (le nostre reti...), si sottomettano in una sorta di stato sessuale ibrido, che li trasforma in pseudo eunuchi a servizio o quantomeno sottomessi al vincitore del natural torneo. Ed i futuri bulli vincitori erano facili da individuare, vista l'aggressività e la potenza dei due più grossi e forti. Pensai che tutto ciò non fosse giusto, e soprattutto che i due spavaldi prepotenti avrebbero potuto costituire un serio pericolo per i miei bambini, una volta sbarazzatisi dei nemici ed impadronitisi del pollaio; Decisi che per una volta, avrei scelto io il vincitore, mentre gli altri candidati sarebbero finiti nella casseruola, invertendo il disegno della madre natura, e facendo vincere il torneo ad un gallo che non fosse troppo aggressivo.
C'era fra di loro un gallo un pò sfigatello, uno che nel branco se le sarebbe prese (come se le stava prendendo) un pò da tutti; non era ammalato, e nenanche troppo piccolo, però non era da combattimento come gli altri; magari appasssionato di informatica, tutto il giorno al computer in casa, con le pantofole d' inverno, dedito a leggere piuttosto che andare per strada a menare la mani; un galletto da terzo millennio, come forse lo sono stato io che di mazzate da bambino nel mio paese di campagna ne ho prese un pò da tutti. Una rivincita dei nerds, la mia decisione di sentirmi Padreterno e determinare la sorte dei bulli, tutti in pentola, lasciando al più sfigato tutte e 80 le galline.
TUTTO PER TE
E fu così che Ralph Mulf si trovò re del pollaio, mentre Fonzie e i suoi compari finirono nell'insalata di galletto. Questo gallo, mi dicevo, non avrebbe mai avuto l'arroganza di agggredire i bambini come successo alla sorellina di Olivier. Mi sentivo soddisfatto; come probabilmente si sentì il galletto, dopo aver visto sparire tutti i suoi violenti concorrenti. Devo dire che da subito il galletto mi parve addirittura un pò "ringaluzzito": una levatina al petto, una rizzata alla coda, e mi parve vederlo atto a svolgere il suo ruolo di maschio impollinatore. Tutto bene allora? L'essere umano si pone a regolatore dell'ecosistema, imprimendo agli ambienti animali un impianto di vita diverso dal loro naturale. La rivincita dei Nerds? Si può fare a meno di battersi per la sopravvivenza? Possiamo parlare di una alternativa? Mi sentivo soddisfatto.
Senonché dopo qualche settimana il nostro galletto che tutto subito sembra essersi trasformato in un buon capo pollaio, inizia a dare cenni di cedimento; questo tipo di animale, quando inizia ad ammalarsi, rallenta il passo, si muove di rado e con estrema lentezza, e smette di mangiare. In pochi giorni lo vidi fermo immobile contro un muro, dimagrito e nenanche le mie solite cure e i miei soliti lavaggi d'acqua non servirono a farlo riprendere.
LA MORALE
La morale di questa storia non é facile da trarre; forse il galletto non era naturalmente un capo branco da servire a 80 femmine come maschio; forse si ammalò casualmente , solo lui, di un male incurabile; oppure, forse, tutto questo era aun progetto per insegnarmi che non possiamo voler comandare il decorso degli eventi della vita e della natura, e che la nostra azione in mezzo alla natura e agli animali, non ha effetto perché alla fine la vita, la natura, La Madre Terra, vince sempre, o quantomeno fa quel che vuole.
Fatto sta che ora non abbiamo galli nel pollaio, ed i polli da allevamento sono ad una buona e giusta distanza dalle femmine ovajole, che continuano a depporre le loro sacre uova fra di loro, in pace e tranquillità, lontano dai maschi violenti, e soprattutto dagli uomini presuntuosi o irriverenti.
Grazie dell'attenzione.
Scaparon, 7 gennaio 2010.
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mercoledì 24 febbraio 2010
Brosio Paolo, il coraggio, il libro
La nostra vita, probabilmente, non é altro che un libro; che sia già scritto e noi ne voltiamo le pagine, oppure che sia bianco e noi lo si imbratti tutti i giorni, non é che un punto di vista. Paolo l'ho incontrato alcune volte: una sera io suonavo e la sua splendida moglie cantava vicino al pianoforte, sorridente, e lui la adorava dal tavolo dove stava a sorseggiare uno splendido Nebbiolo 2005 con un noto presidente di ente fiera del Tartufo, il migliore che Alba abbia avuto nella sua storia, purtroppo caduto troppo presto nella viziosa rete della politica italiana (tanto quanto gli altri suoi antagonisti politici..par condicio).
Paolo Brosio, nel suo libro sie é autosviscerato, e lo ha fatto per un solo motivo: fare un passo avanti, talmente netto, da non poter più tornare indietro.
Nella sua sottile intelligenza, e nella sua vicinanza al mistero del Cristo e della sua madre Regina dei Cieli che Paolo ha conosciuto bene, aveva, come tanti uomini hanno ed hanno avuto, bisogno di una confessione. In un attimo di lucidità, (che molti hanno poi rimpianto, in seguito), ed essendo un personaggio pubblico, si é assicurato di fare una confessione talmente vasta, estrema, imponente quesi esagerata, da non poter più permettere a se stesso una futura inversione. Una confessione pubblica, grande come il suo nome, come la sua immagine, come la dsua fama di figlio dei ricchi che gioca alla vita (il gioco più difficile, sia essere figlio dei ricchi, che di giocare alla vita). Ha confessato agli sconosciuti non soltanto la sua intuibile vita mondana, ma i suoi peccati di gioventù, come un aborto praticato da studente di cui nessuno avrebbe mai saputo; ha confessato l'inconfessabile.
Tanto coraggio, caro Paolo Brosio, che ti varrà ricuramente un buon "reset"; tanto odio che hai scatenato fra i tuoi simili, i tuoi compagni di merengue, i danzatori della vita indemoniata della televisione, che uniti a quelli del calcio e della politica riempioni l'Olimpo degli Dei del 2000.Adesso sei solo, e sono tutti cazzi tuoi. Non deluderci, e soprattutto non deludere te stesso. Io ti credo e ti auguro un buon lavoro.
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Paolo Brosio, nel suo libro sie é autosviscerato, e lo ha fatto per un solo motivo: fare un passo avanti, talmente netto, da non poter più tornare indietro.
Nella sua sottile intelligenza, e nella sua vicinanza al mistero del Cristo e della sua madre Regina dei Cieli che Paolo ha conosciuto bene, aveva, come tanti uomini hanno ed hanno avuto, bisogno di una confessione. In un attimo di lucidità, (che molti hanno poi rimpianto, in seguito), ed essendo un personaggio pubblico, si é assicurato di fare una confessione talmente vasta, estrema, imponente quesi esagerata, da non poter più permettere a se stesso una futura inversione. Una confessione pubblica, grande come il suo nome, come la sua immagine, come la dsua fama di figlio dei ricchi che gioca alla vita (il gioco più difficile, sia essere figlio dei ricchi, che di giocare alla vita). Ha confessato agli sconosciuti non soltanto la sua intuibile vita mondana, ma i suoi peccati di gioventù, come un aborto praticato da studente di cui nessuno avrebbe mai saputo; ha confessato l'inconfessabile.
Tanto coraggio, caro Paolo Brosio, che ti varrà ricuramente un buon "reset"; tanto odio che hai scatenato fra i tuoi simili, i tuoi compagni di merengue, i danzatori della vita indemoniata della televisione, che uniti a quelli del calcio e della politica riempioni l'Olimpo degli Dei del 2000.Adesso sei solo, e sono tutti cazzi tuoi. Non deluderci, e soprattutto non deludere te stesso. Io ti credo e ti auguro un buon lavoro.
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