Cercate la vita schiettamente pratica, materiale,
Ma cercatela in modo da non lascairvene stordire
Smarrendo il senso dello spirito
Che agisce al suo interno.
Cercate lo spirito,
Ma non cercatelo con voluttà soprasensibile,
Per soprasensibile egoismo,
Bensì cercatelo
Con disinteressata volontà di trarne frutto
Nella vita pratica,
nel mondo materiale.
Fate tesoro della vecchia massima:
"Non v'è mai spirito senza materia, né materia
Senza spirito"",
così da poter dire:
Noi vogliamo fare ogni cosa materiale
Alla luce dello spirito,
E vogliamo cercare la luce dello spirito,
Perché ci susciti calore in vista del nostro fare pratico.
UNA BUONA NOTTE DI SAN GIOVANNI A TUTTI!
che cos'é la ns tenda?
il velo, la tela distesa nei prati, che raccoglie la rugiada della notte santa di San Giovanni, a raccogliere le forze cosmiche, non é che per caso siamo noi?
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sabato 23 giugno 2012
venerdì 27 aprile 2012
La Disobbedienza.
Il Maestro Igor. Un bel video che vi consiglio di Ascoltare.
"non si può insegnare ad una persona a disobbedire, sennò, se ti ascolta, vuol dire che ha obbedito almeno...a te! Se lo vedi che sta disobbedendo, però ,alloral lo puoi aiutare a continuare per questo cammino. buona disobbedienza!
Chi sa, sa di suo, che non sa.....
Sapere di essere ingnoranti, é almeno, l'inizio di una sapienza!
Essere in grado di pensare, almeno una volta, di aver sbagliato tutto nella vita, fa si che ci tengano le porte aperte alle varie possibilità di Cambiamento che ogni giorno si propongono davanti a noi.
Auguri! Leggi il resto del articolo......
"non si può insegnare ad una persona a disobbedire, sennò, se ti ascolta, vuol dire che ha obbedito almeno...a te! Se lo vedi che sta disobbedendo, però ,alloral lo puoi aiutare a continuare per questo cammino. buona disobbedienza!
Chi sa, sa di suo, che non sa.....
Sapere di essere ingnoranti, é almeno, l'inizio di una sapienza!
Essere in grado di pensare, almeno una volta, di aver sbagliato tutto nella vita, fa si che ci tengano le porte aperte alle varie possibilità di Cambiamento che ogni giorno si propongono davanti a noi.
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martedì 24 aprile 2012
Oggi a casa.
Che giornate fantastiche!
Quanta gente amica!
Quanto amore che ti aspetta ad ogni lato!
Quanta suerte intorno a noi!
La pace invade, prima i nostri pensieri,
Poi le nostre azioni
E lenisce il cuore e le sue pene
Fin a far risplendere tutto quanto.
Non ci sono paure!
Deve essere proprio cosi
Cosi dovra andare quindi il nostro mondo!
Senza pesi o paure da trascinare
Ci muoviamo leggiadri sul nostro cammino.
d'IO ci accompagna.
Da un"Alba" ne spunta un'Altra
Piu nostra e piu vera.
Chiudi gli occhi repira piano e senti l'Adesso che
Impetuoso si manifesta, che
Ti riempie i polmoni di istanti appena passati che si fanno respirare,
e che nutrono il tuo io Ora. Leggi il resto del articolo......
Quanta gente amica!
Quanto amore che ti aspetta ad ogni lato!
Quanta suerte intorno a noi!
La pace invade, prima i nostri pensieri,
Poi le nostre azioni
E lenisce il cuore e le sue pene
Fin a far risplendere tutto quanto.
Non ci sono paure!
Deve essere proprio cosi
Cosi dovra andare quindi il nostro mondo!
Senza pesi o paure da trascinare
Ci muoviamo leggiadri sul nostro cammino.
d'IO ci accompagna.
Da un"Alba" ne spunta un'Altra
Piu nostra e piu vera.
Chiudi gli occhi repira piano e senti l'Adesso che
Impetuoso si manifesta, che
Ti riempie i polmoni di istanti appena passati che si fanno respirare,
e che nutrono il tuo io Ora. Leggi il resto del articolo......
martedì 3 aprile 2012
Un ragazzo che ha dimostrato Volontà.
Credere nei sogni.
Oggi parliamo di moda.
Aveva deciso di fare lo stilista. Dal nulla. E ci ha creduto.
Per quel che ne so io é il migliore, oppure forse son un pò di parte, però....
un bravo se lo merita.
Ecco uno dei suoi vestiti, indossato da una star.... del momento....
Un post un pò strano sul mio blog? Moda? Veline? Isola dei famosi? Una star che urla come una forsennata...Beh c'é di mezzo Dario Biglino, l'inventore di sogni tradotti in tessuti. Il monaco che fa gli abiti, e li fa anche bene!
E poi dicono che il mondo é tutto in mano ai potenti, ai ricchi, alle multinazionali, ai brand e alle firme famose; tirare fuori le palle ragazzi, e non mollare!
Bravo Dario! sono commosso.
http://www.leichic.it/moda-donna/guendalina-tavassi-nello-studio-dellisola-dei-famosi-con-un-abito-firmato-avaro-figlio-16910.html
www.avarofiglio.com
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Oggi parliamo di moda.
Aveva deciso di fare lo stilista. Dal nulla. E ci ha creduto.
Per quel che ne so io é il migliore, oppure forse son un pò di parte, però....
un bravo se lo merita.
Ecco uno dei suoi vestiti, indossato da una star.... del momento....
Un post un pò strano sul mio blog? Moda? Veline? Isola dei famosi? Una star che urla come una forsennata...Beh c'é di mezzo Dario Biglino, l'inventore di sogni tradotti in tessuti. Il monaco che fa gli abiti, e li fa anche bene!
E poi dicono che il mondo é tutto in mano ai potenti, ai ricchi, alle multinazionali, ai brand e alle firme famose; tirare fuori le palle ragazzi, e non mollare!
Bravo Dario! sono commosso.
http://www.leichic.it/moda-donna/guendalina-tavassi-nello-studio-dellisola-dei-famosi-con-un-abito-firmato-avaro-figlio-16910.html
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mercoledì 28 marzo 2012
FREEZER? No THANKS
Dal 2002 ad oggi, é possibile far funzionare TUTTO un ristorante, senza far uso di congelatori? pensate sia impossibile?
In regalo, il nuovo cartello che andrà esposto nei locali liberi dalla surgelazione elettrica, pratica mortale che dà la morte al cibo ed alla sua sostanza.
Scaricate pure il cartello.. e fatene uso!!
ciao
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In regalo, il nuovo cartello che andrà esposto nei locali liberi dalla surgelazione elettrica, pratica mortale che dà la morte al cibo ed alla sua sostanza.
Scaricate pure il cartello.. e fatene uso!!
ciao
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mercoledì 21 marzo 2012
CROCIFISSION AN REUSA
Una delle poesie di Luigi Armando Olivero.
Per presentarvelo, posso ridurre a pochi concetti il mio pensiero:
Il miglior poeta chi io abbia mai incontrato nella mia breve vita e nella mia povera esperienza letteraria.
Mi sento molto legato alla sua esperienza.
Olivero ha scritto e parlato decine di lingue, ed é stato corrispondente estero per buona parte della sua vita. Ha frequentato e conosciuto i grandi suoi contemporanei della poesia, letteratura e cinema.
Ha voluto scrivere per tutta la sua vita, solo poesie i Piemontese.
Se avesse scritto in Italiano, ora l'Italia avrebbe un premio nobel in più.
invece ce lo teniamo tutto stretto per noi.
E' morto nel 1996, a Roma dove ha vissuto parte della sua vita. Ha vissuto pochissimo in PIemonte.
Se i letterati italici fossero colti come i loro equivalenti di altre nazioni meno superficiali, Olivero potrebbe ancora prendere il premio Nobel per la poesia in Italia.
Una volta me la sarei presa da morire per una questione del genere: adesso quasi più niente...
Mi godo il mio Olivero che giorno per giorno, chissà per quanti giorni ancora, avrò il piacere di scoprire.
Grazie a Giovanni Delfino. http://luigiolivero.altervista.org/
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Per presentarvelo, posso ridurre a pochi concetti il mio pensiero:
Il miglior poeta chi io abbia mai incontrato nella mia breve vita e nella mia povera esperienza letteraria.
Mi sento molto legato alla sua esperienza.
Olivero ha scritto e parlato decine di lingue, ed é stato corrispondente estero per buona parte della sua vita. Ha frequentato e conosciuto i grandi suoi contemporanei della poesia, letteratura e cinema.
Ha voluto scrivere per tutta la sua vita, solo poesie i Piemontese.
Se avesse scritto in Italiano, ora l'Italia avrebbe un premio nobel in più.
invece ce lo teniamo tutto stretto per noi.
E' morto nel 1996, a Roma dove ha vissuto parte della sua vita. Ha vissuto pochissimo in PIemonte.
Se i letterati italici fossero colti come i loro equivalenti di altre nazioni meno superficiali, Olivero potrebbe ancora prendere il premio Nobel per la poesia in Italia.
Una volta me la sarei presa da morire per una questione del genere: adesso quasi più niente...
Mi godo il mio Olivero che giorno per giorno, chissà per quanti giorni ancora, avrò il piacere di scoprire.
Grazie a Giovanni Delfino. http://luigiolivero.altervista.org/
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Luis Armando Olivé
sabato 4 febbraio 2012
Per tutti i miei Amici
UN film che mi ha appassionato tantissimo.
insomma: la nostra verità.
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insomma: la nostra verità.
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venerdì 3 febbraio 2012
Cara America, il rischio è il declino
La lezione della storia è impietosa: dall'impero romano a Gheddafi, i regimi e le civiltà finiscono in repentini tracolli più che graduali declini. Ed è quello che rischiano Stati Uniti e Occidente dopo aver perso le "armi vincenti" – dalla concorrenza all'etica del lavoro – che ne hanno garantito la supremazia per secoli, a vantaggio di altre società, soprattutto asiatiche. Cara America, il rischio è il declino
di Niall Ferguson
La lezione della storia è impietosa: dall'impero romano a Gheddafi, i regimi e le civiltà finiscono in repentini tracolli più che graduali declini. Ed è quello che rischiano Stati Uniti e Occidente dopo aver perso le "armi vincenti" – dalla concorrenza all'etica del lavoro – che ne hanno garantito la supremazia per secoli, a vantaggio di altre società, soprattutto asiatiche.
Forse è ancora possibile eliminare i virus e rilanciare il nostro sistema: ma bisogna agire subito.
L'Occidente ha prevalso sul resto del mondo, a partire dal XVI secolo, grazie a una serie di innovazioni istituzionali che si sono rivelate altrettante armi vincenti: la concorrenza; la rivoluzione scientifica; lo stato di diritto e il governo rappresentativo; la medicina moderna; la società dei consumi; l'etica del lavoro.
All'inizio del XX secolo, una decina di imperi – Stati Uniti compresi – rappresentava il 58% della superficie e della popolazione del pianeta, e ben il 74% dell'economia mondiale. Poi, però, il quadro è rapidamente cambiato. A cominciare dal Giappone, numerose società si sono appropriate di queste armi vincenti. Chi è oggi il vero depositario dell'etica del lavoro? Il sudcoreano medio lavora circa il 39% di ore in più a settimana rispetto all'americano medio. L'anno scolastico in Corea del Sud è di 220 giorni, rispetto ai 180 degli Stati Uniti. Basta frequentare un po' le principali Università americane per accorgersi che gli studenti migliori, quelli che studiano di più, sono gli asiatici e gli asiatico-americani.
Quanto alla società dei consumi, 26 dei 30 più grandi centri commerciali del mondo si trovano oggi nei Paesi emergenti, soprattutto in Asia. Negli Usa se ne contano solo tre: e oggi sono posti desolati e semivuoti, visto che gli americani faticano a ripagare i debiti e hanno le carte di credito scadute. Passando all'assistenza sanitaria, la spesa americana è più alta di quella di qualunque altro Paese. In percentuale sul Pil, gli Stati Uniti spendono il doppio del Giappone per la sanità e più del triplo della Cina. Eppure l'aspettativa di vita in America è salita da 70 a 78 anni negli ultimi 50 anni, rispetto alle impennate del Giappone (da 68 a 83 anni) e della Cina (da 43 a 73 anni).
Se poi parliamo dello stato di diritto, il World Economic Forum ci dà un quadro desolatamente chiaro. In ben 15 dei 16 indicatori relativi alla tutela della proprietà intellettuale e alla governance d'impresa, gli Stati Uniti sono più arretrati di Hong Kong e si piazzano al primo posto solo in un settore: la protezione degli investitori. Sotto ogni altro aspetto, la loro reputazione è pessima.
Figurano all'86° posto nel mondo per i costi imposti alle imprese dalla criminalità organizzata, al 50° per la fiducia dell'opinione pubblica nell'etica degli uomini politici, al 42° per le varie forme di corruzione e al 40° per l'affidabilità degli audit e la credibilità dei bilanci. Quanto alla scienza, gli ultimi dati sulla competenza matematica rivelano che il divario fra gli studenti più avanzati al mondo – quelli di Shanghai e Singapore – e i loro coetanei americani è oggi più grande del gap fra gli adolescenti americani e quelli albanesi e tunisini. Leggi il resto del articolo......
di Niall Ferguson
La lezione della storia è impietosa: dall'impero romano a Gheddafi, i regimi e le civiltà finiscono in repentini tracolli più che graduali declini. Ed è quello che rischiano Stati Uniti e Occidente dopo aver perso le "armi vincenti" – dalla concorrenza all'etica del lavoro – che ne hanno garantito la supremazia per secoli, a vantaggio di altre società, soprattutto asiatiche.
Forse è ancora possibile eliminare i virus e rilanciare il nostro sistema: ma bisogna agire subito.
L'Occidente ha prevalso sul resto del mondo, a partire dal XVI secolo, grazie a una serie di innovazioni istituzionali che si sono rivelate altrettante armi vincenti: la concorrenza; la rivoluzione scientifica; lo stato di diritto e il governo rappresentativo; la medicina moderna; la società dei consumi; l'etica del lavoro.
All'inizio del XX secolo, una decina di imperi – Stati Uniti compresi – rappresentava il 58% della superficie e della popolazione del pianeta, e ben il 74% dell'economia mondiale. Poi, però, il quadro è rapidamente cambiato. A cominciare dal Giappone, numerose società si sono appropriate di queste armi vincenti. Chi è oggi il vero depositario dell'etica del lavoro? Il sudcoreano medio lavora circa il 39% di ore in più a settimana rispetto all'americano medio. L'anno scolastico in Corea del Sud è di 220 giorni, rispetto ai 180 degli Stati Uniti. Basta frequentare un po' le principali Università americane per accorgersi che gli studenti migliori, quelli che studiano di più, sono gli asiatici e gli asiatico-americani.
Quanto alla società dei consumi, 26 dei 30 più grandi centri commerciali del mondo si trovano oggi nei Paesi emergenti, soprattutto in Asia. Negli Usa se ne contano solo tre: e oggi sono posti desolati e semivuoti, visto che gli americani faticano a ripagare i debiti e hanno le carte di credito scadute. Passando all'assistenza sanitaria, la spesa americana è più alta di quella di qualunque altro Paese. In percentuale sul Pil, gli Stati Uniti spendono il doppio del Giappone per la sanità e più del triplo della Cina. Eppure l'aspettativa di vita in America è salita da 70 a 78 anni negli ultimi 50 anni, rispetto alle impennate del Giappone (da 68 a 83 anni) e della Cina (da 43 a 73 anni).
Se poi parliamo dello stato di diritto, il World Economic Forum ci dà un quadro desolatamente chiaro. In ben 15 dei 16 indicatori relativi alla tutela della proprietà intellettuale e alla governance d'impresa, gli Stati Uniti sono più arretrati di Hong Kong e si piazzano al primo posto solo in un settore: la protezione degli investitori. Sotto ogni altro aspetto, la loro reputazione è pessima.
Figurano all'86° posto nel mondo per i costi imposti alle imprese dalla criminalità organizzata, al 50° per la fiducia dell'opinione pubblica nell'etica degli uomini politici, al 42° per le varie forme di corruzione e al 40° per l'affidabilità degli audit e la credibilità dei bilanci. Quanto alla scienza, gli ultimi dati sulla competenza matematica rivelano che il divario fra gli studenti più avanzati al mondo – quelli di Shanghai e Singapore – e i loro coetanei americani è oggi più grande del gap fra gli adolescenti americani e quelli albanesi e tunisini. Leggi il resto del articolo......
mercoledì 25 gennaio 2012
Lingua e cultura d'Italia
Vi sembrerò ripetitivo, però vale la pena pubblicare una intervista del nostro carissimo professor Sergio Gilardino, sulla lingua piemontese. Saluti amici cari. consiglierei di leggerala... Battista.
Incontro con il piemontese (1): Sergio Gilardino e la differenza tra lingua e dialetto
luglio 12, 2011 di Sara Bauducco
“Io parlo, leggo e scrivo il piemontese prima di tutto perché è la lingua dei miei genitori e dei miei antenati, secondariamente perché – tra tante lingue studiate ed utilizzate – è l’unica che mi sia veramente spontanea e, in terzo luogo, perché mi alimenta con una letteratura che è densa dei luoghi della mia infanzia, dei detti della mia gente, delle figure retoriche classiche, ma risonanti di vita radicata in un luogo, perché mi rigenera e mi salva dall’alienazione e dall’estraneamento. È lingua mia, fatta poesia. Senza il piemontese sarei letterariamente, identitariamente e linguisticamente solo una frazione di quello che invece mi sento di essere con questa lingua abbinata alle altre nel mio dialogo ininterrotto con popoli e scrittori”. Così Sergio Gilardino, cittadino canadese e grande conoscitore di lingue ancestrali, descrive la propria passione per il piemontese.
Nato in una cascina della bassa vercellese al termine della seconda guerra mondiale, in ambiente esclusivamente piemontofono, Gilardino alle elementari è stato ripetutamente bocciato come “afasico e incapace di imparare la lingua nazionale”; nonostante ciò, è diventato il primo della sua graduating class, ha ottenuto il diploma di media superiore a San Francisco nel ’63 e poi il diploma di liceo linguistico nel ‘65 in Piemonte, con la media del 9. Il suo percorso scolastico è proseguito con la laurea in Lingue e Letterature germaniche alla Bocconi nel ‘70 e con il dottorato in Lingue e Letterature romanze ad Harvard nel ‘76; da allora, e fino al 2005, ha tenuto la docenza di Lingue e Letterature comparate all’università McGill di Montréal. Già direttore dei lavori per il grande dizionario enciclopedico della lingua Walser (2008), ora è impegnato nella compilazione del dizionario della lingua provenzale alpina e per questo ha scelto di vivere a Comboscuro, dove questa lingua è quotidianamente parlata e insegnata ai più piccoli.
Perché studiare il piemontese o altre lingue locali e dialetti in un’epoca in cui impera l’inglese come “lingua senza frontiere”?
La lezione sull’importanza sociale ed economica, prima ancora che culturale, delle lingue ancestrali l’ho ricevuta in Canada, Paese che ha conosciuto una révolution tranquille alla fine degli anni Sessanta per il riconoscimento del francese come lingua paritaria non solo nel Québec, ma dovunque nella federazione canadese. Il Canada, nei suoi cinquant’anni di bilinguismo ufficiale, ha grandemente beneficiato di questa politica multilinguistica, estesa rapidamente al riconoscimento di varie lingue amerindiane e minoritarie (tra cui l’italiano).
L’eredità linguistica italiana, in fatto di lingue ancestrali, non ha confronti in Europa e ancor oggi – nonostante la morte di moltissime delle sue lingue minoritarie nel corso degli ultimi 150 anni – essa primeggia per varietà, ricchezza e specificità di lingue regionali. Rivitalizzarle o ritardarne la perdita almeno fino a quando siano state debitamente codificate, significa – da un lato – salvare una parte integrante del patrimonio etnico-culturale dell’Italia, dall’altro offrire ai giovani un valido stimolo al multilinguismo. La conoscenza e/o lo studio di una lingua ancestrale hanno riverberazioni immediate sulla capacità dei giovani ad affrontare il mondo multilingue che li aspetta al di fuori dei sempre più angusti confini nazionali, al di fuori dei quali parlare più lingue, grandi e piccole, non è solo un’expertise, ma un’attitudine mentale indispensabile per la sopravvivenza.
L’inglese è anche una lingua ancestrale, ma a livello internazionale è un codice per alberghi, aeroporti e borse valori: la lingua ancestrale non solo non ne ostacola l’apprendimento, ma lo facilita enormemente, perché a confronto della sua straordinaria ricchezza idiomatica il globish (global English) è una lingua relativamente povera e facile da imparare.
Lei ha vissuto in diversi Paesi, per molti anni è stato docente in Canada, ma da piemontese è innamorato di questa lingua…
Vi sono due modi assai diversi di intendere l’espressione “lingua piemontese”. Come avviene con tutte le lingue, dalle più prestigiose alle più piccine, nella cerchia familiare i bimbi imparano solo un certo numero di parole e di espressioni. Mentre per le lingue nazionali la frequenza scolastica, la società e i mass-media, via via, forniscono ampliamenti lessicali notevoli, che integrano la base fornita dall’ambiente domestico, per il “dialetto” questo non è oramai più il caso: né la scuola, né l’ambiente circostante, né stampa-radio-tv-internet, lo arricchiscono in prosieguo di tempo. Ciò induce molti (inclusi quelli che parlano il piemontese in una delle sue varianti) a ritenere che non esista altro lessico che quello imparato in casa. Da qui il famigerato discrimine “lingua/dialetto”: si parla in dialetto di poche cose con poche persone, si parla in lingua di molte cose con molte persone. La realtà è che già i dizionari del piemontese nell’Ottocento (Sant’Albino, Zalli, Ponza, Pasquali, Gavuzzi, ecc.) ci presentano una panoplia lessicale di diecine e diecine di migliaia di parole, anche tecniche, politiche, militari e giuridiche, che esorbitano del tutto dalla gamma lessicale di chi il piemontese l’ha sempre e solo conosciuto come lingua dell’oralità. Gianfranco Gribaudo, autore di uno dei più ricchi ed utili dizionari del piemontese nei nostri tempi, ha annotato a mano 10.000 aggiunte alla quarta edizione del Neuv Gribàud e altrettante ne ha annotate Tòni Baudrìe (noto lirico in provenzale e in piemontese) all’ultima edizione del Gavuzzi.
Questo è l’altro volto del piemontese: lingua codificata (dizionari, antologie e grammatiche dalla fine del Settecento), lingua di re, di eserciti, di nobiltà e borghesia, di giornalismo, di romanzi, di prosa d’arte, di teatro, di civiltà e identità “nazionali”. Questo è il volto molto meno conosciuto, per cui quando si parla di “lingua sabàuda” molti non capiscono neppure a cosa si allude, inclusa la maggior parte di coloro che parlano il piemontese. Non sanno che ci sono grammatiche, dizionari, opere e studi sulla sintassi, sulla stilistica, sulla metrica. Il problema è che non lo sanno neppure i docenti e gli insegnanti, e questo è più grave, anche perché i pareri, le convinzioni, le scelte che contano sono i loro. Non sanno e non si curano di sapere che per “lingua sabauda” ci si riferisce ad una lingua millenaria (i primi documenti sono datati tra la fine del decimo secolo e l’inizio dell’undicesimo) che possiede più di centoventimila lemmi, sparpagliati in più di 70 dizionari compilati sull’arco degli ultimi tre secoli (Sette, Otto e Novecento), con un patrimonio letterario di tutto riguardo.
Molti italianisti, dottissimi nel proprio campo, ma punto in quello delle lingue ancestrali, si ritengono autorizzati a parlare ex catedra dei “dialetti”, come se questi fossero un aspetto degenere del linguaggio degli italiani cui essi debbono rimediare. Parlare il “dialetto” o parlare l’italiano, intercalando parole dialettali, è parlare male. Il rimedio è lo studio dell’italiano. Sono fermamente convinti che il piemontese, o qualsiasi altra lingua regionale, si riduca a quelle poche parole superstiti che ancora si intendono sulle labbra degli anziani. Proprio per questo lo definiscono il piemontese un “dialetto”.
Di dialettale, in queste valutazioni, c’è solo la loro cultura monolingue, ferma a vetusti principi rinascimentali, già ampiamente superati da Charles De Brosses, Melchiorre Cesarotti e Samuel Johnson nella seconda metà del Settecento e del tutto risibili se parametrati agli insegnamenti dei grandi field linguists britannici, statunitensi, canadesi, russi dei giorni nostri. Mentre la comunità scientifica internazionale ha prodotto e continua a produrre diecine di libri sulle lingue ancestrali e sulla loro conservazione, la linguistica campale italiana non ha prodotto una sola opera di breccia sulla rivitalizzazione/resuscitazione linguistica.
Quando Luca Serianni (Accademico della Crusca e dei Lincei) afferma che il “dialetto non deve essere insegnato nelle scuole”, Umberto Eco che il “dialetto” usato per argomenti seri lo fa ridere, Roberto Benigni che i concetti che lui esprime a proposito della Divina Commedia non possono essere detti in “dialetto”, rivelano un concetto che è simile a quello di chi, per farsi un’idea dell’italiano, andasse ad ascoltare i nipotini degli emigranti italiani in Australia o in Canada e pensasse che quelle poche frasi spezzate e parole residue siano tutto l’italiano.
Il malinteso è così grossolano, banale, madornale, che passa anche la voglia di mettersi a dare schiarimenti: la cultura accademica italiana è preparata e aggiornata in molti campi, ma decisamente non in quello della linguistica ancestrale. I giovani linguisti italiani veramente preparati (ve ne sono diversi e con diversi intrattengo un carteggio) hanno studiato all’estero e lì vivono ed insegnano. In patria non hanno né accoglienza, né futuro.
Beninteso, il problema è più radicato e ben più vasto. È ombelicalmente connesso con la nozione che gli intellettuali italiani hanno di “popolo”: ci potremmo tirare dentro il concetto del latino “lingua che sola può esprimere l’eccellenza letteraria” e, quello ad esso strettamente collegato, della chiesa che non riteneva che le lingue del popolo fossero atte a veicolare i messaggi biblici. Sono visioni che – con vari adeguamenti e apparenti concessioni – sono arrivate fino ai nostri giorni.
Gli intellettuali responsabili per le politiche linguistiche italiane hanno un concetto completamente errato delle lingue ancestrali: non sanno cos’è il nucleo lessicale storico, non sanno cos’è la specificità lessico-idiomatica, non parlano, non leggono e non scrivono nessuna lingua ancestrale, non hanno mai passato anni delle loro vite a codificare con metodologie induttive e sinonimiche i tesori già segnalati da Graziadio Isaia Ascoli 150 anni fa, ma – nonostante tutto ciò – si sentono autorizzati a dare pareri in qualità di esperti ai legislatori e ai dirigenti scolastici senza avere per guida altro che il loro inveterato horror dialecti.
Il problema si perpetua perché chi non sa è chiamato a prendere decisioni e chi sa viene ostracizzato come “dialettofono”: e nel frattempo svaniscono nel nulla gli ultimi tesori del patrimonio linguistico italiano. Leggi il resto del articolo......
Incontro con il piemontese (1): Sergio Gilardino e la differenza tra lingua e dialetto
luglio 12, 2011 di Sara Bauducco
“Io parlo, leggo e scrivo il piemontese prima di tutto perché è la lingua dei miei genitori e dei miei antenati, secondariamente perché – tra tante lingue studiate ed utilizzate – è l’unica che mi sia veramente spontanea e, in terzo luogo, perché mi alimenta con una letteratura che è densa dei luoghi della mia infanzia, dei detti della mia gente, delle figure retoriche classiche, ma risonanti di vita radicata in un luogo, perché mi rigenera e mi salva dall’alienazione e dall’estraneamento. È lingua mia, fatta poesia. Senza il piemontese sarei letterariamente, identitariamente e linguisticamente solo una frazione di quello che invece mi sento di essere con questa lingua abbinata alle altre nel mio dialogo ininterrotto con popoli e scrittori”. Così Sergio Gilardino, cittadino canadese e grande conoscitore di lingue ancestrali, descrive la propria passione per il piemontese.
Nato in una cascina della bassa vercellese al termine della seconda guerra mondiale, in ambiente esclusivamente piemontofono, Gilardino alle elementari è stato ripetutamente bocciato come “afasico e incapace di imparare la lingua nazionale”; nonostante ciò, è diventato il primo della sua graduating class, ha ottenuto il diploma di media superiore a San Francisco nel ’63 e poi il diploma di liceo linguistico nel ‘65 in Piemonte, con la media del 9. Il suo percorso scolastico è proseguito con la laurea in Lingue e Letterature germaniche alla Bocconi nel ‘70 e con il dottorato in Lingue e Letterature romanze ad Harvard nel ‘76; da allora, e fino al 2005, ha tenuto la docenza di Lingue e Letterature comparate all’università McGill di Montréal. Già direttore dei lavori per il grande dizionario enciclopedico della lingua Walser (2008), ora è impegnato nella compilazione del dizionario della lingua provenzale alpina e per questo ha scelto di vivere a Comboscuro, dove questa lingua è quotidianamente parlata e insegnata ai più piccoli.
Perché studiare il piemontese o altre lingue locali e dialetti in un’epoca in cui impera l’inglese come “lingua senza frontiere”?
La lezione sull’importanza sociale ed economica, prima ancora che culturale, delle lingue ancestrali l’ho ricevuta in Canada, Paese che ha conosciuto una révolution tranquille alla fine degli anni Sessanta per il riconoscimento del francese come lingua paritaria non solo nel Québec, ma dovunque nella federazione canadese. Il Canada, nei suoi cinquant’anni di bilinguismo ufficiale, ha grandemente beneficiato di questa politica multilinguistica, estesa rapidamente al riconoscimento di varie lingue amerindiane e minoritarie (tra cui l’italiano).
L’eredità linguistica italiana, in fatto di lingue ancestrali, non ha confronti in Europa e ancor oggi – nonostante la morte di moltissime delle sue lingue minoritarie nel corso degli ultimi 150 anni – essa primeggia per varietà, ricchezza e specificità di lingue regionali. Rivitalizzarle o ritardarne la perdita almeno fino a quando siano state debitamente codificate, significa – da un lato – salvare una parte integrante del patrimonio etnico-culturale dell’Italia, dall’altro offrire ai giovani un valido stimolo al multilinguismo. La conoscenza e/o lo studio di una lingua ancestrale hanno riverberazioni immediate sulla capacità dei giovani ad affrontare il mondo multilingue che li aspetta al di fuori dei sempre più angusti confini nazionali, al di fuori dei quali parlare più lingue, grandi e piccole, non è solo un’expertise, ma un’attitudine mentale indispensabile per la sopravvivenza.
L’inglese è anche una lingua ancestrale, ma a livello internazionale è un codice per alberghi, aeroporti e borse valori: la lingua ancestrale non solo non ne ostacola l’apprendimento, ma lo facilita enormemente, perché a confronto della sua straordinaria ricchezza idiomatica il globish (global English) è una lingua relativamente povera e facile da imparare.
Lei ha vissuto in diversi Paesi, per molti anni è stato docente in Canada, ma da piemontese è innamorato di questa lingua…
Vi sono due modi assai diversi di intendere l’espressione “lingua piemontese”. Come avviene con tutte le lingue, dalle più prestigiose alle più piccine, nella cerchia familiare i bimbi imparano solo un certo numero di parole e di espressioni. Mentre per le lingue nazionali la frequenza scolastica, la società e i mass-media, via via, forniscono ampliamenti lessicali notevoli, che integrano la base fornita dall’ambiente domestico, per il “dialetto” questo non è oramai più il caso: né la scuola, né l’ambiente circostante, né stampa-radio-tv-internet, lo arricchiscono in prosieguo di tempo. Ciò induce molti (inclusi quelli che parlano il piemontese in una delle sue varianti) a ritenere che non esista altro lessico che quello imparato in casa. Da qui il famigerato discrimine “lingua/dialetto”: si parla in dialetto di poche cose con poche persone, si parla in lingua di molte cose con molte persone. La realtà è che già i dizionari del piemontese nell’Ottocento (Sant’Albino, Zalli, Ponza, Pasquali, Gavuzzi, ecc.) ci presentano una panoplia lessicale di diecine e diecine di migliaia di parole, anche tecniche, politiche, militari e giuridiche, che esorbitano del tutto dalla gamma lessicale di chi il piemontese l’ha sempre e solo conosciuto come lingua dell’oralità. Gianfranco Gribaudo, autore di uno dei più ricchi ed utili dizionari del piemontese nei nostri tempi, ha annotato a mano 10.000 aggiunte alla quarta edizione del Neuv Gribàud e altrettante ne ha annotate Tòni Baudrìe (noto lirico in provenzale e in piemontese) all’ultima edizione del Gavuzzi.
Questo è l’altro volto del piemontese: lingua codificata (dizionari, antologie e grammatiche dalla fine del Settecento), lingua di re, di eserciti, di nobiltà e borghesia, di giornalismo, di romanzi, di prosa d’arte, di teatro, di civiltà e identità “nazionali”. Questo è il volto molto meno conosciuto, per cui quando si parla di “lingua sabàuda” molti non capiscono neppure a cosa si allude, inclusa la maggior parte di coloro che parlano il piemontese. Non sanno che ci sono grammatiche, dizionari, opere e studi sulla sintassi, sulla stilistica, sulla metrica. Il problema è che non lo sanno neppure i docenti e gli insegnanti, e questo è più grave, anche perché i pareri, le convinzioni, le scelte che contano sono i loro. Non sanno e non si curano di sapere che per “lingua sabauda” ci si riferisce ad una lingua millenaria (i primi documenti sono datati tra la fine del decimo secolo e l’inizio dell’undicesimo) che possiede più di centoventimila lemmi, sparpagliati in più di 70 dizionari compilati sull’arco degli ultimi tre secoli (Sette, Otto e Novecento), con un patrimonio letterario di tutto riguardo.
Molti italianisti, dottissimi nel proprio campo, ma punto in quello delle lingue ancestrali, si ritengono autorizzati a parlare ex catedra dei “dialetti”, come se questi fossero un aspetto degenere del linguaggio degli italiani cui essi debbono rimediare. Parlare il “dialetto” o parlare l’italiano, intercalando parole dialettali, è parlare male. Il rimedio è lo studio dell’italiano. Sono fermamente convinti che il piemontese, o qualsiasi altra lingua regionale, si riduca a quelle poche parole superstiti che ancora si intendono sulle labbra degli anziani. Proprio per questo lo definiscono il piemontese un “dialetto”.
Di dialettale, in queste valutazioni, c’è solo la loro cultura monolingue, ferma a vetusti principi rinascimentali, già ampiamente superati da Charles De Brosses, Melchiorre Cesarotti e Samuel Johnson nella seconda metà del Settecento e del tutto risibili se parametrati agli insegnamenti dei grandi field linguists britannici, statunitensi, canadesi, russi dei giorni nostri. Mentre la comunità scientifica internazionale ha prodotto e continua a produrre diecine di libri sulle lingue ancestrali e sulla loro conservazione, la linguistica campale italiana non ha prodotto una sola opera di breccia sulla rivitalizzazione/resuscitazione linguistica.
Quando Luca Serianni (Accademico della Crusca e dei Lincei) afferma che il “dialetto non deve essere insegnato nelle scuole”, Umberto Eco che il “dialetto” usato per argomenti seri lo fa ridere, Roberto Benigni che i concetti che lui esprime a proposito della Divina Commedia non possono essere detti in “dialetto”, rivelano un concetto che è simile a quello di chi, per farsi un’idea dell’italiano, andasse ad ascoltare i nipotini degli emigranti italiani in Australia o in Canada e pensasse che quelle poche frasi spezzate e parole residue siano tutto l’italiano.
Il malinteso è così grossolano, banale, madornale, che passa anche la voglia di mettersi a dare schiarimenti: la cultura accademica italiana è preparata e aggiornata in molti campi, ma decisamente non in quello della linguistica ancestrale. I giovani linguisti italiani veramente preparati (ve ne sono diversi e con diversi intrattengo un carteggio) hanno studiato all’estero e lì vivono ed insegnano. In patria non hanno né accoglienza, né futuro.
Beninteso, il problema è più radicato e ben più vasto. È ombelicalmente connesso con la nozione che gli intellettuali italiani hanno di “popolo”: ci potremmo tirare dentro il concetto del latino “lingua che sola può esprimere l’eccellenza letteraria” e, quello ad esso strettamente collegato, della chiesa che non riteneva che le lingue del popolo fossero atte a veicolare i messaggi biblici. Sono visioni che – con vari adeguamenti e apparenti concessioni – sono arrivate fino ai nostri giorni.
Gli intellettuali responsabili per le politiche linguistiche italiane hanno un concetto completamente errato delle lingue ancestrali: non sanno cos’è il nucleo lessicale storico, non sanno cos’è la specificità lessico-idiomatica, non parlano, non leggono e non scrivono nessuna lingua ancestrale, non hanno mai passato anni delle loro vite a codificare con metodologie induttive e sinonimiche i tesori già segnalati da Graziadio Isaia Ascoli 150 anni fa, ma – nonostante tutto ciò – si sentono autorizzati a dare pareri in qualità di esperti ai legislatori e ai dirigenti scolastici senza avere per guida altro che il loro inveterato horror dialecti.
Il problema si perpetua perché chi non sa è chiamato a prendere decisioni e chi sa viene ostracizzato come “dialettofono”: e nel frattempo svaniscono nel nulla gli ultimi tesori del patrimonio linguistico italiano. Leggi il resto del articolo......
mercoledì 16 novembre 2011
Il mio maestro Piero Archiati
Tre modi di concepire l’evoluzione
C’è una massima invalsa particolarmente ai tempi della scolastica medievale, e che dice: bonum est diffusivum sui, il bene è per natura sua diffusivo di sé. I La tua capacità di creare: pagina 102
l bene, ciò che è buono, tende per natura a comunicarsi. Un bene tirchio non esiste. Se il bene sommo è il creare divino, allora la Divinità non solo crea delle creature, ma le crea con l’intento di renderle a loro volta creatrici. Un creatore che negasse alle sue creature la capacità di creare a loro volta, non sarebbe diffusivum sui. La Divinità, se è piena di bontà, vuol confe- rire alle creature il meglio di sé, cioè la capacità di creare.
Noi siamo inseriti in questo movimento dell’amore che tende per natura a diffondersi, siamo immersi in un dina- mismo del divenire che ci permette di trapassare sempre più realmente dall’essere creature all’essere anche noi creatori.
È questo un altro carattere fondamentale della svolta di ogni evoluzione: noi la viviamo ogni volta che dall’es- sere passivi e ricettivi, dal sentirci pure e semplici creature create da Dio, ci trasformiamo interiormente e diventiamo a nostra volta creatori, per lo meno in qualche ambito della vita. Ogni volta che creiamo qualcosa di nuovo di- ventiamo, se pur in minima misura, dei co-creatori nelle vicende del mondo.
In una prospettiva d’incessante evoluzione l’universo va compreso non come un casuale aggregarsi di materia, spuntata fuori da non si sa dove, ma come la manifestazione di una sapiente attività creatrice svolta da Esseri divini.Il rigido monoteismo afferma: esiste un solo creatore, Dio, e tutti gli altri esseri sono pure creature. A nessun altro essere viene data la possibilità di assurgere al livello di co-creatore, di avvicinarsi gradualmente alla Divinità.
Il vero senso della Trinità divina è invece proprio la partecipazione di sé, l’attualizzazione del bonum est dif- fusivum sui. È come in un organismo in cui i singoli membri siano a loro volta singoli Esseri spirituali capaci di creare a vari livelli.
Da" Angeli e Morti " di Piero Archiati, l'uomo che sento più vicino in questo momento, frapposto fra il mio povero somaro e il mondo dello Spirito.
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C’è una massima invalsa particolarmente ai tempi della scolastica medievale, e che dice: bonum est diffusivum sui, il bene è per natura sua diffusivo di sé. I La tua capacità di creare: pagina 102
l bene, ciò che è buono, tende per natura a comunicarsi. Un bene tirchio non esiste. Se il bene sommo è il creare divino, allora la Divinità non solo crea delle creature, ma le crea con l’intento di renderle a loro volta creatrici. Un creatore che negasse alle sue creature la capacità di creare a loro volta, non sarebbe diffusivum sui. La Divinità, se è piena di bontà, vuol confe- rire alle creature il meglio di sé, cioè la capacità di creare.
Noi siamo inseriti in questo movimento dell’amore che tende per natura a diffondersi, siamo immersi in un dina- mismo del divenire che ci permette di trapassare sempre più realmente dall’essere creature all’essere anche noi creatori.
È questo un altro carattere fondamentale della svolta di ogni evoluzione: noi la viviamo ogni volta che dall’es- sere passivi e ricettivi, dal sentirci pure e semplici creature create da Dio, ci trasformiamo interiormente e diventiamo a nostra volta creatori, per lo meno in qualche ambito della vita. Ogni volta che creiamo qualcosa di nuovo di- ventiamo, se pur in minima misura, dei co-creatori nelle vicende del mondo.
In una prospettiva d’incessante evoluzione l’universo va compreso non come un casuale aggregarsi di materia, spuntata fuori da non si sa dove, ma come la manifestazione di una sapiente attività creatrice svolta da Esseri divini.Il rigido monoteismo afferma: esiste un solo creatore, Dio, e tutti gli altri esseri sono pure creature. A nessun altro essere viene data la possibilità di assurgere al livello di co-creatore, di avvicinarsi gradualmente alla Divinità.
Il vero senso della Trinità divina è invece proprio la partecipazione di sé, l’attualizzazione del bonum est dif- fusivum sui. È come in un organismo in cui i singoli membri siano a loro volta singoli Esseri spirituali capaci di creare a vari livelli.
Da" Angeli e Morti " di Piero Archiati, l'uomo che sento più vicino in questo momento, frapposto fra il mio povero somaro e il mondo dello Spirito.
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mercoledì 19 ottobre 2011
Sciopero della fame per salvare le api
Marisa Valente e Renato Bologna sono allo stremo.
Avevano iniziato lo sciopero della fame il 4 luglio 2011, esattamente 3 mesi fa, restando con un camper sotto l’Assessorato all’Agricoltura, in Corso Stati Uniti, 21. Ieri l’altro, Renato è stato ricoverato d’urgenza in ospedale e le sue condizioni fisiche non gli permettono di andare avanti con il digiuno, se non a grave rischio per la sua sopravvivenza.
Marisa e Renato, del comitato Basta Veleni, rischiano di morire nell’indifferenza generale della politica, di una parte delle Associazioni dei coltivatori, dei consumatori, dei cittadini torinesi e piemontesi. Da anni lottano per il nostro futuro, per la salute di tutti, chiedendo la messa al bando di tutte le sostanze contenenti gli insetticidi neonicotinoidi.
L’utilizzo dei pesticidi e dei diserbanti in agricoltura è un’aberrazione quando si supera il fragile equilibrio tra benefici (cioè aumento della resa agricola a cosidetta “rivoluzione verde” e difesa dall’attacco degli insetti e delle fitopatologie) e costi, (consistenti nella loro spiccata nocività e tossicità per la salute animale e umana). Oggigiorno siamo ben oltre quell’equilibrio, ne è prova la sempre maggior desertificazione planetaria di cui esempio paradigmatico è la pianura padana, e la s empre maggior resistenza dei fitopatogeni ai pesticidi, per cui si stanno studiando nuovi sementi ogm, ovviamente sotto lucroso brevetto delle multinazionali.
Nello specifico della storia che stiamo raccontando, di cui avevamo già parlato: i famigerati “neonicotinoidi”, essendo sostanze sistemiche che agiscono su tutta la pianta, attaccano l’apparato neurovegetativo di tutti gli insetti con cui vengono in contatto, tra cui anche insetti utili come le api, portando alle morie di cui si sente parlare sempre più frequentemente.
Il loro utilizzo indiscriminato ha portato alla sparizione delle api in intere provincie cinesi, come nello Xi Cuan, dove la vastissima coltura delle pere viene mantenuta tramite l’impollinazione artificiale manuale da parte dei contadini, come potete vedere nel video.
Residui di sostanze neonicotinoidi, già riscontrate nei prodotti ad utilizzo farmaceutico come le larve e la pappa reale, sono state trovate anche nel miele e negli ortaggi e nella frutta trattata, il che significa che incidono sull’alimentazione e quindi sulla salute umana con effetti ancora da appurarsi. I prodotti autorizzati alla vendita contenenti neonicotinoidi sono una cinquantina, ma i più utilizzati, soprattutto nelle coltivazioni del mais e del girasole, sono quattro: clotianidina, imidaclopride, fipronil e thiametoxam. I due più utilizzati sono del colosso della Bayer, già sotto accusa in Germania.
Il Comitato “Basta Veleni” chiede che vengano messi al bando tali insetticidi non solo nella concia del mais, il cui divieto, rinnovato periodicamente, scadrà il 31 ottobre 2011, ma anche nell’utilizzo, molto diffuso in Piemonte, contro la flavescenza dorata della vite. E’ possibile farne a meno senza compromettere le colture secondo il parere dei tecnici che ci hanno relazionato in Commissione congiunta Ambiente-Sanità-Agricoltura, utilizzando sostanze naturale come ad esempio il “piretro”.
Per questo è di vitale importanza che non si parli solo di filiera corta (cioè pochi passaggi dal produttore al consumatore), di chilometri zero (cioè di prodotti nel raggio di qualche decina di chilometri), ma prima di tutto di coltivazioni naturali (cioè col minimo ricorso a sostanze di sintesi), non intensive, ed eventualmente con certificazione biologica, che può essere una garanzia in più anche se il modello di certificazione andrebbe forse rivisto.
Dopo il silenzio imbarazzante dell’Assessorato all’Agricoltura, la politica regionale crediamo debba prendersi carico di questa problematica da cui nessuno è immune, anche se comprendiamo che purtroppo è più “comodo” e forse “redditizio” ascoltare la campana delle multinazionali che detengono il mercato mondiale della chimica di sintesi come Bayer e Syngenta, entrambe finite sotto indagine da parte del Procuratore Guariniello, che ha contestato loro il reato di “Diffusione di malattie degli animali (o delle piante) pericolose per il patrimonio zootecnico e per l’economia nazionale”, punibile con una pena da 1 a 5 anni.
Da domani per continuare la protesta nonviolenta di Marisa e Renato verrà lanciata una staffetta dello sciopero della fame giornaliero, a cui prenderanno parte anche i consiglieri regionali del moVimento 5 stelle, per provare a far interessare la giunta regionale e i media. Invitiamo tutti quelli che in tutta Italia si vorranno unire, a comunicarlo a Marisa e Renato a fattoria@atlink.it e a noi staffgruppoconsiliare@piemonte5stelle.it.
Sabato 15 invece è stata indetta la giornata internazionale della lotta ai neonicotinoidi da parte degli apicoltori francesi, per cui speriamo si organizzi, dopo il successo della manifestazione nazionale contro la caccia (in cui eravamo presenti con lo striscione “To bee or not to bee”), anche quella per la salvaguardia delle api e per un cibo sano, che si terrà a Torino.
Invitiamo sin d’ora tutte i consumatori consapevoli, gli agricoltori naturali, le persone che difendono gli animali e l’ambiente. Tramite Marisa e Renato vi terremo informati.
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Avevano iniziato lo sciopero della fame il 4 luglio 2011, esattamente 3 mesi fa, restando con un camper sotto l’Assessorato all’Agricoltura, in Corso Stati Uniti, 21. Ieri l’altro, Renato è stato ricoverato d’urgenza in ospedale e le sue condizioni fisiche non gli permettono di andare avanti con il digiuno, se non a grave rischio per la sua sopravvivenza.
Marisa e Renato, del comitato Basta Veleni, rischiano di morire nell’indifferenza generale della politica, di una parte delle Associazioni dei coltivatori, dei consumatori, dei cittadini torinesi e piemontesi. Da anni lottano per il nostro futuro, per la salute di tutti, chiedendo la messa al bando di tutte le sostanze contenenti gli insetticidi neonicotinoidi.
L’utilizzo dei pesticidi e dei diserbanti in agricoltura è un’aberrazione quando si supera il fragile equilibrio tra benefici (cioè aumento della resa agricola a cosidetta “rivoluzione verde” e difesa dall’attacco degli insetti e delle fitopatologie) e costi, (consistenti nella loro spiccata nocività e tossicità per la salute animale e umana). Oggigiorno siamo ben oltre quell’equilibrio, ne è prova la sempre maggior desertificazione planetaria di cui esempio paradigmatico è la pianura padana, e la s empre maggior resistenza dei fitopatogeni ai pesticidi, per cui si stanno studiando nuovi sementi ogm, ovviamente sotto lucroso brevetto delle multinazionali.
Nello specifico della storia che stiamo raccontando, di cui avevamo già parlato: i famigerati “neonicotinoidi”, essendo sostanze sistemiche che agiscono su tutta la pianta, attaccano l’apparato neurovegetativo di tutti gli insetti con cui vengono in contatto, tra cui anche insetti utili come le api, portando alle morie di cui si sente parlare sempre più frequentemente.
Il loro utilizzo indiscriminato ha portato alla sparizione delle api in intere provincie cinesi, come nello Xi Cuan, dove la vastissima coltura delle pere viene mantenuta tramite l’impollinazione artificiale manuale da parte dei contadini, come potete vedere nel video.
Residui di sostanze neonicotinoidi, già riscontrate nei prodotti ad utilizzo farmaceutico come le larve e la pappa reale, sono state trovate anche nel miele e negli ortaggi e nella frutta trattata, il che significa che incidono sull’alimentazione e quindi sulla salute umana con effetti ancora da appurarsi. I prodotti autorizzati alla vendita contenenti neonicotinoidi sono una cinquantina, ma i più utilizzati, soprattutto nelle coltivazioni del mais e del girasole, sono quattro: clotianidina, imidaclopride, fipronil e thiametoxam. I due più utilizzati sono del colosso della Bayer, già sotto accusa in Germania.
Il Comitato “Basta Veleni” chiede che vengano messi al bando tali insetticidi non solo nella concia del mais, il cui divieto, rinnovato periodicamente, scadrà il 31 ottobre 2011, ma anche nell’utilizzo, molto diffuso in Piemonte, contro la flavescenza dorata della vite. E’ possibile farne a meno senza compromettere le colture secondo il parere dei tecnici che ci hanno relazionato in Commissione congiunta Ambiente-Sanità-Agricoltura, utilizzando sostanze naturale come ad esempio il “piretro”.
Per questo è di vitale importanza che non si parli solo di filiera corta (cioè pochi passaggi dal produttore al consumatore), di chilometri zero (cioè di prodotti nel raggio di qualche decina di chilometri), ma prima di tutto di coltivazioni naturali (cioè col minimo ricorso a sostanze di sintesi), non intensive, ed eventualmente con certificazione biologica, che può essere una garanzia in più anche se il modello di certificazione andrebbe forse rivisto.
Dopo il silenzio imbarazzante dell’Assessorato all’Agricoltura, la politica regionale crediamo debba prendersi carico di questa problematica da cui nessuno è immune, anche se comprendiamo che purtroppo è più “comodo” e forse “redditizio” ascoltare la campana delle multinazionali che detengono il mercato mondiale della chimica di sintesi come Bayer e Syngenta, entrambe finite sotto indagine da parte del Procuratore Guariniello, che ha contestato loro il reato di “Diffusione di malattie degli animali (o delle piante) pericolose per il patrimonio zootecnico e per l’economia nazionale”, punibile con una pena da 1 a 5 anni.
Da domani per continuare la protesta nonviolenta di Marisa e Renato verrà lanciata una staffetta dello sciopero della fame giornaliero, a cui prenderanno parte anche i consiglieri regionali del moVimento 5 stelle, per provare a far interessare la giunta regionale e i media. Invitiamo tutti quelli che in tutta Italia si vorranno unire, a comunicarlo a Marisa e Renato a fattoria@atlink.it e a noi staffgruppoconsiliare@piemonte5stelle.it.
Sabato 15 invece è stata indetta la giornata internazionale della lotta ai neonicotinoidi da parte degli apicoltori francesi, per cui speriamo si organizzi, dopo il successo della manifestazione nazionale contro la caccia (in cui eravamo presenti con lo striscione “To bee or not to bee”), anche quella per la salvaguardia delle api e per un cibo sano, che si terrà a Torino.
Invitiamo sin d’ora tutte i consumatori consapevoli, gli agricoltori naturali, le persone che difendono gli animali e l’ambiente. Tramite Marisa e Renato vi terremo informati.
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martedì 4 ottobre 2011
La cucina.
Cucinare.
Una sorta di magia. Saper cucinare un pranzo completo, vuol dire saper confondere tanti elementi, alcuni dei quali da soli sarebbero addirittura immangiabili, col risultato di restituire un progetto, un' opera d'arte. Attraverso questo pranzo, la preparatrice offre un insieme alchemico di mondo vegetale, minerale, animale, il tutto arrotondato e armonizzato dall'amore suo che viene trasmesso a quello che diventerà "cibo" per la persona che lo riceverà in dono.
La quantità di amore che questa preparatrice, spesso inconsciamente, saprà "passare" agli elementi e ai cibi stessi, diverrà nutrimento sotto forza di "sostanza". Se ben accompagnato da chi lo saprà servire con cura, da un vino che sia in grado di trasmettere a chi lo beve tutta la sua stòria, le sue 365 giornate trascorse su una splendida collina, senza prodotti chimici appestanti, un pane che contenga ancora il fuoco del suo sole di luglio, della legna che si é sacrificata per cuocerlo, e un tavolo, quattro mura che stiano anche loro raccontando nella pace la loro stòria, ecco che si compie il miracolo.
Fruendo di questo cibo noi viaggiatori ci arricchiamo, si forse addirittura rubiamo pace e amore, quello che noi andiamo cercando.
Ed in questo scambio di forze sottili che intercorrono fra persone, esseri e cose, in questo ambiente così magico che é un'osteria di campagna, la preparatrice dei piatti, che tanto ha ceduto di sua forza a questo "cibo" che se ne va via via tutto dalla sue mani, come un bambino cresciuto e salutato per il mondo, riceve, attraverso i muri (che collaborano, ecco la loro funzione), attraverso i sorrisi e i grazie, la sua parte di amore gratuito che dalla sala si espande come una luce, a irradiare di riflesso tutto quanto intorno.
Così lontano per un attimo dal mondo rumoroso idiota e sterile, le risate di gioia, il buonumore silenzioso e sostanzioso, l'apprezzamento sincero che gli ospiti emanano con sincerità dal profondo del loro io, si trasformano diventando nutrimento, VERA sostanza, tale quale a quella che era uscita nei piatti.
E la alchimista dei fornelli, nel tornare a casa, stanca, con cuore gonfio dei brava e dei grazie che spesso lei non ha neppure sentito, torna a casa dalla sua figlia, dal suo uomo, sempre più ricca, sempre più grande, e sempre più capace di fare piccoli miracoli quotidiani che, chissà come mai, le riescono sempre meglio. E tutti coloro che ruotano antorno a questo "cibo", questa danza roteante di piatti, calici, vasi stoffe vetri ceramiche acqua che entrano ed escono continuamente dalla scena, animata dalla musica, tutti coloro che "con-corrono " al miracolo si arricchiscono.
Di questo cibo noi abbiamo vissuto in tutti questi anni; nessun denaro avrebbe potuto comperare pagare o vendere tutto quanto noi, in questi lunedì mattina portiamo nel nostro fardello, ben stretto.
E' un segreto che rimane fra noi e tutti gli amici che jeri sera erano qui con noi, a gioire di tutto l'amore che ci siamo dati in questo stupendo pezzo di vita.
Grazie a tutti quanti credono da sempre ai sogni.
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Una sorta di magia. Saper cucinare un pranzo completo, vuol dire saper confondere tanti elementi, alcuni dei quali da soli sarebbero addirittura immangiabili, col risultato di restituire un progetto, un' opera d'arte. Attraverso questo pranzo, la preparatrice offre un insieme alchemico di mondo vegetale, minerale, animale, il tutto arrotondato e armonizzato dall'amore suo che viene trasmesso a quello che diventerà "cibo" per la persona che lo riceverà in dono.
La quantità di amore che questa preparatrice, spesso inconsciamente, saprà "passare" agli elementi e ai cibi stessi, diverrà nutrimento sotto forza di "sostanza". Se ben accompagnato da chi lo saprà servire con cura, da un vino che sia in grado di trasmettere a chi lo beve tutta la sua stòria, le sue 365 giornate trascorse su una splendida collina, senza prodotti chimici appestanti, un pane che contenga ancora il fuoco del suo sole di luglio, della legna che si é sacrificata per cuocerlo, e un tavolo, quattro mura che stiano anche loro raccontando nella pace la loro stòria, ecco che si compie il miracolo.
Fruendo di questo cibo noi viaggiatori ci arricchiamo, si forse addirittura rubiamo pace e amore, quello che noi andiamo cercando.
Ed in questo scambio di forze sottili che intercorrono fra persone, esseri e cose, in questo ambiente così magico che é un'osteria di campagna, la preparatrice dei piatti, che tanto ha ceduto di sua forza a questo "cibo" che se ne va via via tutto dalla sue mani, come un bambino cresciuto e salutato per il mondo, riceve, attraverso i muri (che collaborano, ecco la loro funzione), attraverso i sorrisi e i grazie, la sua parte di amore gratuito che dalla sala si espande come una luce, a irradiare di riflesso tutto quanto intorno.
Così lontano per un attimo dal mondo rumoroso idiota e sterile, le risate di gioia, il buonumore silenzioso e sostanzioso, l'apprezzamento sincero che gli ospiti emanano con sincerità dal profondo del loro io, si trasformano diventando nutrimento, VERA sostanza, tale quale a quella che era uscita nei piatti.
E la alchimista dei fornelli, nel tornare a casa, stanca, con cuore gonfio dei brava e dei grazie che spesso lei non ha neppure sentito, torna a casa dalla sua figlia, dal suo uomo, sempre più ricca, sempre più grande, e sempre più capace di fare piccoli miracoli quotidiani che, chissà come mai, le riescono sempre meglio. E tutti coloro che ruotano antorno a questo "cibo", questa danza roteante di piatti, calici, vasi stoffe vetri ceramiche acqua che entrano ed escono continuamente dalla scena, animata dalla musica, tutti coloro che "con-corrono " al miracolo si arricchiscono.
Di questo cibo noi abbiamo vissuto in tutti questi anni; nessun denaro avrebbe potuto comperare pagare o vendere tutto quanto noi, in questi lunedì mattina portiamo nel nostro fardello, ben stretto.
E' un segreto che rimane fra noi e tutti gli amici che jeri sera erano qui con noi, a gioire di tutto l'amore che ci siamo dati in questo stupendo pezzo di vita.
Grazie a tutti quanti credono da sempre ai sogni.
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venerdì 30 settembre 2011
mercoledì 28 settembre 2011
che cos' é l'Italia ?
A volte mi viene chiesto che cosa io pensi dell'Italia, supponendo che io non abbia mai nutrito alcun sentimento verso questa organizzazione politica. Si sbagliano, i miei figli compresi, se pensano che io non senta alcun legame con lo Stato che mi ha fornito l'istruzione primaria, e per il quale ho servito l'esercito nazionale. Un sentimento ce l'ho, ed é riassumibile in una sola frase: provo un profondo sentimento di non-appartenenza a questo non-stato. Con tutto il cuore.
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Il pianeta terra é stato creato con tutte le sue isole, penisole, montagne laghi e mari, ed é in continua evoluzione. Su questa terra ci sono vari paesi, con la p minuscola, ognuno con delle caratteristiche proprie particolari, ma tutti legati al fondo alla palla ciccia che li contiene. Cina e le Langhe sono fretelli sulla terra, anche se molto diversi fra di loro. Viaggiando si impara a conoscere questi paesi.
Alba, il Roero, Le Lanche appartengono al suolo italico: ne respirano l'aria, fresca delle montagne, secca dello scirocco che arriva dal mare, e sfiora le colline del todocch e di Murazzano, noiosa e umida del lungotanaro d'estate, fredda luminosa e pungente dei mattini di febrraio quando si va a potare nelle vigne. Questo é il suolo italico che noi ora stiamo calpestando, e questa potrebbe essere l'italicità (cioé il comune denominatore) che potrebbe legare la terra di Piemonte a poche altre vicine e simili ad essa, condividenti un simile destino.
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Il pianeta terra é stato creato con tutte le sue isole, penisole, montagne laghi e mari, ed é in continua evoluzione. Su questa terra ci sono vari paesi, con la p minuscola, ognuno con delle caratteristiche proprie particolari, ma tutti legati al fondo alla palla ciccia che li contiene. Cina e le Langhe sono fretelli sulla terra, anche se molto diversi fra di loro. Viaggiando si impara a conoscere questi paesi.
Alba, il Roero, Le Lanche appartengono al suolo italico: ne respirano l'aria, fresca delle montagne, secca dello scirocco che arriva dal mare, e sfiora le colline del todocch e di Murazzano, noiosa e umida del lungotanaro d'estate, fredda luminosa e pungente dei mattini di febrraio quando si va a potare nelle vigne. Questo é il suolo italico che noi ora stiamo calpestando, e questa potrebbe essere l'italicità (cioé il comune denominatore) che potrebbe legare la terra di Piemonte a poche altre vicine e simili ad essa, condividenti un simile destino.
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mercoledì 7 settembre 2011
La terra non é nostra
La terra non é nostra; la terra é un entità ben precisa, spirituale quanto lo siamo noi. Ha una storia che inizia con la nostra, e finirà insieme a noi, quando tutto rientrerà nell' Uno.
La proprietà privata: da qualche decennio ormai cerco un significato al termine "proprietà privata", sopratutto quando questa si riferisce alla parte superficiale della crosta di questa gigantesca palla viva e rotante che io chiamo sorella Terra.
I primi dubbi li ebbi quando nella foresta tropicale dovi vissi oramai tanti anni fa, e dove ho lasciato molti amici. Il Governo Centrale, tentava di Vendere ai Privati le terre dello Stato, che per loro erano Proprietà Demaniale, mentre che per la gente dei villaggi era terra sacra, al massimo di proprietà della gente del villaggio, o dei re locali.....
Poi vennero i giorni in cui partorii la prima vera massima:
Proprietà Privata della terra: "quando comperi un pezzo di terra dal notaio, vai li e firmi il tuo impegno a occuparti della terra". già una bella definizione, però non teneva conto che la società degli uomini non ha potere sulla terra, perché la società non chiede il permesso alla terra di essere venduta. tuttalpiù la vende, sì, senza averne il consenso. Vendita illecita di bene senza il consenso del bene stesso.
Successivamente giunsi a: " quando comperi un pezzo di terra, firmi il matrimonio con una parte della superficie della terra....."; anche questa non andava; mi resi conto che alla fine la terra non c'entra in questa storia!
La terra non c'entra nulla nelle nostre menata di comperare e vendere dal notaio, di faare le mappe catastali, di mettere paletti e fili di ferro; lei e li, grossa e ciccia, che gira e si fa la sua storia, evolve quanto noi, e ci guarda, microbi su un tendone da circo, che crediamo di esserne i padroni; ecco che cos'é: la terra non c'entra.
Sono giunto stassera all'ultima (per ora) definizione: intanto devo premettere che io non penso, ormai da tempo, che la terra che compreremo sia nostra...
" Quando comperi dal notaio un pezzo di terra, ti comperi un 'idea: che gli altri pensino che questo pezzo di terra sia tuo." Niente di più. La sfera cicciona rotante nel Cosmo non c'entra; é una faccenda fra uomini.
con questo spirito venerdì pomeriggio spenderemo l'ennesima cifra di denaro falso insignificante e inesistente che non abbiamo, per assicurarci che da sabato tutti pensino che questa nuova terra sia nostra. viva la campagna!
quanta follìa nei nostri gesti!
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La proprietà privata: da qualche decennio ormai cerco un significato al termine "proprietà privata", sopratutto quando questa si riferisce alla parte superficiale della crosta di questa gigantesca palla viva e rotante che io chiamo sorella Terra.
I primi dubbi li ebbi quando nella foresta tropicale dovi vissi oramai tanti anni fa, e dove ho lasciato molti amici. Il Governo Centrale, tentava di Vendere ai Privati le terre dello Stato, che per loro erano Proprietà Demaniale, mentre che per la gente dei villaggi era terra sacra, al massimo di proprietà della gente del villaggio, o dei re locali.....
Poi vennero i giorni in cui partorii la prima vera massima:
Proprietà Privata della terra: "quando comperi un pezzo di terra dal notaio, vai li e firmi il tuo impegno a occuparti della terra". già una bella definizione, però non teneva conto che la società degli uomini non ha potere sulla terra, perché la società non chiede il permesso alla terra di essere venduta. tuttalpiù la vende, sì, senza averne il consenso. Vendita illecita di bene senza il consenso del bene stesso.
Successivamente giunsi a: " quando comperi un pezzo di terra, firmi il matrimonio con una parte della superficie della terra....."; anche questa non andava; mi resi conto che alla fine la terra non c'entra in questa storia!
La terra non c'entra nulla nelle nostre menata di comperare e vendere dal notaio, di faare le mappe catastali, di mettere paletti e fili di ferro; lei e li, grossa e ciccia, che gira e si fa la sua storia, evolve quanto noi, e ci guarda, microbi su un tendone da circo, che crediamo di esserne i padroni; ecco che cos'é: la terra non c'entra.
Sono giunto stassera all'ultima (per ora) definizione: intanto devo premettere che io non penso, ormai da tempo, che la terra che compreremo sia nostra...
" Quando comperi dal notaio un pezzo di terra, ti comperi un 'idea: che gli altri pensino che questo pezzo di terra sia tuo." Niente di più. La sfera cicciona rotante nel Cosmo non c'entra; é una faccenda fra uomini.
con questo spirito venerdì pomeriggio spenderemo l'ennesima cifra di denaro falso insignificante e inesistente che non abbiamo, per assicurarci che da sabato tutti pensino che questa nuova terra sia nostra. viva la campagna!
quanta follìa nei nostri gesti!
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domenica 21 agosto 2011
La grana del grano
Come che as peul capì, an costi dontré agn, l'oma dà man a travajé ansima al gran, për sërché 'd capì còs che nojautri podima fé (ant ël nòstr cit, as capiss), ansema a costa coltivassion.
Ël gran, (as dis) a l'é un-a dle prime coltivassion che l'òm a l'ha podù ancaminé, fin-a dai tèmp ëd Zaratustra, che a l'ha tacà a elaboré 'l gramon për rivé a un prim gran. Quandi che voghoma un "pero-pero" arlongh a la vìa, podima an-maginesse còs ch'a l'era 'l gran aij tèmp andré.
Pero-pero a l'é lì, longh a un fossà, a la sima dla piassa, contra na muraja andoa che tuti a van a pissé, ma al'é fòrsi la ciav dla solussion dla nutrission dl'umanità.
Sè, pròpi chièl.
DAL PERO-PERO al OGM
Ant ël secol passà, l'òm a l'ha sërcà 'd possé la coltivassion dël gran an manera d'ardobié (ò pi tant ancora) la produssion ëd quintaj për giornà; për fé sòn, a l'ha dovrà tut lòn cha a-i era a soa disposission; sicome che le modificassion OGM a-i ero ancora nen possibij a l'inissi dël Neuvsent, chèich studios dël pento a l'han dovrà ij ragg Gamma për ambalordì le smens dle granaje, an manera che prima ò dòp ua dle tante a portèisa a dj'arzultà positiv an quantità 'd produssion. Soma passà dai 7-8 quintaj për giornà, aij 35-50 d'adess. L'òm, sempre pì avid, a l'ha vorsù che 'l gran a rivèisa a fé dobi, triplo quintaj ëd lon che a l'ha fait për quatr mila agn; coste pòvre piante 'd gran, modificà për avidità da l'òm, a son ant la stessa condission dle vache bianche e nèire olandèise, che se i-i doma la larga ant la natura, a l'han nen la possibilità d'arzisté pi che mesa giornà, përché a son stà completament modificà e dëscolegà da la Creassion. Povre bes-ce, pòvre piante...
ADESS AN CAMPAGNA
Còs che podima a dovima fé anlora? Prima che tut dovoma pianté li ëd deje la colpa a j'american, bele che lo savoma tuti che a son lor che al'han frojà ant la genetica pi che tuti j'autri; la responsabilità a l'é ëd tuta l'umanità, soma tuti andrinta a la stessa manera.
Seconda ròba: pensoma nèn che "torné andré" a sìa la paròla magica: torné andré as peul nèn, ël temp passà a l'esist pì nèn.
Per taché, l'oma sërcà dle varietà ëd gran che a fusso nèn sta tant pastissà, e l'oma provà a piantèje, a nòstra manera, andrinta a dij camp che (fin-a lor) a fusso nèn stà pastissà.
Laorà pòch ancreus, sensa concim chimich da 10 agn, sensa diserbant, piantand dle varietà 'd gran nèn modificà, nen medicà, nen disinfetà, nen concimà....e via fòrt.
Arzultà: ël gran a ven sù, ecome che a ven!
/-8 quintaj për giornà, nèn ëd pì. E anlora, car amis, sërché 'd capì da soj come ch'a l'ha fà l'umanità a vive con na produssion parèj ëd gran, e quale che a son le relassion antrames a costi fator:
avidità dl'òm, aument dla produssion dël gran, decuplicassion (ò pi tant ancora) dla produssion ëd carn an 60 agn, conseguènt aument dël consum ëd carn an 60 agn, aument dle malatìe cardiovascolar, creassion dl'obesità (malatìa inesistenta ant ël secol precedent). soma rivà , ant ël 2010, che le besc-e a mangio quasi tuta la produssion dle granaje dla pianura padan-a, e l'òm a deuv amporté 'l gran da fé 'l pan.... Dësmentioma nèn ancora: modificassion dla panificassion, che l'oma fait passé come progress, fasand mangé a l'òm mach la part bianca dla farin-a (che l'òma al'avìa mai mangià da sola prima, da quatr mila agn), pan mòl che a ven dùr e a la sèira it peule tirelo ancontra a na muraja, eliminassion dël lievit natural (pasta mare), e inclusion obligatòira d¨l lievit ëd bira, rapid, lèst, a bonpàt, che a fa na bela mica lustra e tendra....
Strutt, euli 'd palma, agenti lievitanti, regolatori di lievitazione, stabilizzatori di stabilizzazione di lievitazione di agenti lievitazionali di integrazione integrante (prové a fé un sangoiss con dontré cuciarà 'd coste ròbe sì, e deje da mangé a col che a l'ha anventaje, për voghe ëd che tinta che a ven soa faciassa quandi che a l'ha traondà costa mësciassa 'd pan e tòssich...).
A mé paìs a-i era un proverbi che a disìa: "pan mòl, l'é bon a rende"....
--------
Adessa l'é 'l moment dl'amson, e tiroma j'arzultà 'd costa cita campagna 2011; ëd sicur 'l progett "pero-pero" a l'é anviarà e a tornerà pà andré, gnanca d'un pass.
sercheroma 'd pianté pi tante giornà 'd costi gran nen pastissà, prima 'd tut për mangeje nojautri e nostre masnà, e condivide la strà con che che a l'avrà veuja dë sparte le fatighe con nojautri, sensa fé reclam, sensa fé spatuss, sensa pì nen brajé al mond che tut a l'é da cambié; oramai a l'é tròp tard, l'oma passà la frontiera dla cognission e dël bondeuit; l'unica a l'é d'andé anans, con la cossiènsa che lo foma për nojautri e për coj pòchi che a voran fé la strà che a monta.... ansoema a noj.
Coste a son mach dontré righe ansima al gran, an realtà; la stòira a l'é un pòch pi longa, ma la seguiteroma pì anans. L'unica ròba ch'i peuss gionté, prima 'd saré, a l'é che dòp ëd 20 agn d'arserche, i peuss dì che son rivà al canton, a la sima, a capì da andoa che ad dësluppa 'l vindol, e son tut content ëd dive che adesso lo ciaperòma, pianin pianòt, për sò vers, e che se Nosgnor am përmëttrà 'd felo, lo dësvindoleroma torna, fasanda calé la mnis e le rumente che a so ciapà antrames al le file, e torné gropè la liassa che a ten colegà l'Om, ansema a soa Origin, e soa strà d'Artorn a la Destinassion.
Ant ël mentré, mé car amis, gnun-e pao, che an riverà gnente; a basterà mach ten-e la bara dël timon drita an man, sensa molé, ma sensa afanèse, e sensa pao.
Për costa ocasion, am piasirìa lasseve costa invocassion che mé grand Amis Rudolf, Rudolf Steiner:
Preghiera për l’epoca ëd Michél.
Dovoma dësrèisé dant l'anima
la pao e la tëmma ëd lòn che l'avnì a peul porté a l'òm.
Podima gionté 'l bonimor
an tuti ij nòstri sentimènt e sensassion, rispèt a l'avnì.
Podima vardé anans bonben
sensa sagrin anvers tut lòn che a peul rivé.
E podima pensé che tut lòn che a vnirà
a sarà mandà a noi da na mira dël mond pin-a 'd sapiènsa.
Sonssì a l'é part ëd lon che podima amprende an cost'epoca:
savej vive pien 'd fiducia sensa gnun-e sicurësse ant l'esistènsa,
fiducia ant l'agiut sempre present dël mond spiritual.
A dila giusta, gnente a l'avrà valor se an mancherà 'l corage.
Rudolf Steiner
Salut a tuti j'amis.
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lunedì 18 luglio 2011
Roumiage de Coumboscuro
Un anno dopo, mi ritrovo a godere di un video di un bounuomo di un nostro conoscente amatore , che ha riportato nella memoria digitale elettro-immaginativa uno sprazzo di una bella serata fra amici. Commosso di quanto si possa regalare ad un povero musicant con questi moderni strumenti di ripresa, risordando quella calda serata d'estate montana, vi ringrazio tutti e semplicemente...vi amo!
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martedì 28 giugno 2011
SOLIDARIETA'
Nonostante io non abbia mai amato la parola sindacati, Nonstante gli ideali di partito , gli scudi crociati, le falci e i martelli, mi abbiano lasciato sempre così freddo e disgustato,
nonstante per molti anni io abbia pensato che un treno sia megli di un aereo o di uun'automobile che fa fumo,
eccomi a condividere questo video che segue, per una splendida e sola parola: AUTODETERMINAZIONE DEI POPOLI.
ci siamo fatti la campagna dei referendum e adesso dobbiamo dare la possibilità ai Valsusini di avere il loro REFERENDuM su sta ca..o di TAV, senza mettere il nostro becco nella faccenda.
La faccenda é loro, é nelle loro mani; gli abitatori della valle sono loro.
FASSINO; MARONI; tutti quanti, che volete dalla Valsusa?
VIVA L'AUTODETERMINAZIONE DEI POPOLI; PIEMONT AUTONOMIA.
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nonstante per molti anni io abbia pensato che un treno sia megli di un aereo o di uun'automobile che fa fumo,
eccomi a condividere questo video che segue, per una splendida e sola parola: AUTODETERMINAZIONE DEI POPOLI.
ci siamo fatti la campagna dei referendum e adesso dobbiamo dare la possibilità ai Valsusini di avere il loro REFERENDuM su sta ca..o di TAV, senza mettere il nostro becco nella faccenda.
La faccenda é loro, é nelle loro mani; gli abitatori della valle sono loro.
FASSINO; MARONI; tutti quanti, che volete dalla Valsusa?
VIVA L'AUTODETERMINAZIONE DEI POPOLI; PIEMONT AUTONOMIA.
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mercoledì 9 febbraio 2011
Il prodotto interno lordo
Durante un felicissimo soggiorno familiare in campre presso Monterosso nella spendida regione delle cinque terre, fotografai una interessante locandina ve la propongo così come l'ho trovata, con una fotografia.
saluti
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saluti
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sabato 4 dicembre 2010
Gino Scarsi: finalmente ho un amico terrorista!
Ricevo e Ripubblico sul mio blog personale la riflessione dell'amico Alessandro Mortarino sul comune amico e compagno di merende Gino Scarsi.
Gino Scarsi riceve una citazione per terrorismo ecologico
Proprio così; terrorismo ecologico e una richiesta di risarcimento danni pari a 50 mila euro ... L'accusa arriva dall'azienda di Canale (provincia di Cuneo) Vigolungo SpA, rivolta a Gino Scarsi, primo firmatario della nostra campagna nazionale per lo Stop al Consumo di Territorio, ai margini di una vicenda che aveva visto l'azienda protagonista della richiesta di autorizzazione di un impianto a biomasse. Le caratteristiche dell'impianto avevano subito fatto preoccupare i cittadini di Canale (e dei comuni limitrofi) e mosso una immediata azione "dal basso" per richiedere massima trasparenza all'iter autorizzativo e assoluta attenzione alla tutela dell'ambiente e della salute. Dopo lunghi dibattiti, la specifica Conferenza dei Servizi aveva bocciato la richiesta dell'azienda. Che, evidentemente, non deve averla digerita ...
Nella citazione, Gino viene accusato di essere colpevole di una campagna contro la Vigolungo finalizzata ad un puro interesse personale; secondo l'azienda, tutte le prese di posizione assunte nella vicenda da Gino sono state dettate da "evidenti e scontati motivi politico-elettorali" e "dall'esclusiva finalità di generare un bacino di consenso attorno alla propria persona anche a costo di generare un vero terrorismo ecologico" ...
Chi conosce Gino Scarsi sorriderà dell'accusa, che accusa resta pur sempre, in base alla citazione del Tribunale di Alba.
E chi ha seguito dal nascere la vicenda dell’impianto a biomasse della Vigolungo conosce la grande partecipazione di massa che ha coinvolto i cittadini di Canale e dintorni. Ben cinquemila firme raccolte a Canale e nel Roero contro la centrale. Tanti, tantissimi. Non soltanto … Scarsi !
L'accusa è talmente generica da farci stupire. E altrettanto irrisorie ci paiono le ulteriori "prove" che la Vigolungo SpA adduce per motivare le colpevolezze di Gino Scarsi.
Ad esempio le lettere pubblicate dal giornale "La Gazzetta d'Alba", in cui Scarsi riferisce che "le emissioni in atmosfera dei due camini alti trenta metri previsti a Canale possono interessare sino a otto chilometri di territorio coinvolgendo così i Comuni di San Damiano, Castellinaldo, Castagnito, Cisterna, Vezza Montà, Santo Stefano e Monteu Roero".
Oppure che "quelle due ciminiere sono due cannoni puntati su Canale e Roero" e che "è vero che le polveri pesanti le fermano con i filtri, ma quelle leggere ? Sono le cosiddette nanoparticelle impossibili da intercettare perchè si formano dopo i filtri invisibili e leggere che si disperdono a chilometri e chilometri e che la natura non riesce a metabolizzare. Entreranno subdolamente nella catena alimentare e se respirate dai polmoni passeranno direttamente nel sangue dando vita a focolai che sovente si trasformano in forme cancerogene nei vari organi. Il 10 % della popolazione è vulnerabile all'attacco delle nanopolveri e queste faranno danni ancora ai nostri figli e nipoti perchè sono persistenti e si trasmettono anche per via fetale".
L'azienda si scaglia anche contro un'affermazione di Gino apparsa su un giornale locale: "Vigolungo ha avuto nel tempo maestranze cinesi, mai uno sciopero" ed ha potuto godere di una "tolleranza complessiva su emissioni paurose". Frasi che nella citazione vengono così commentate dall'azienda: "Scarsi ha accusato direttamente Vigolungo SpA di sfruttamento della manodopera e di produrre emissioni contrarie alle legge, godendo di una non meglio precisata tolleranza da parte delle pubbliche autorità".
Il comportamento antisindacale è stato richiamato da Scarsi anche in altra occasione pubblica, in cui, parlando dell’affidabilità dell’azienda in rapporto ai materiali da bruciare nella futura centrale, ricordava sia l’aspetto positivo rappresentato dall’azienda nei cinquant’anni trascorsi, sia quello negativo: emissioni di fumi neri mefitici e atteggiamento antisindacale (licenziamento di una Lavoratrice della Vigolungo per il solo fatto di avere “fatto la tessera Cisl”).
Il 23 Marzo è prevista la prima udienza, la nostra sensazione è che l'azienda abbia intenzione di dimostrare ai cittadini che non è bene schierarsi contro le esigenze economiche di un gruppo imprenditoriale e che chi lo fa rischia in proprio: un modo cortese che ci ricorda tanto la sventagliata di un mitra sulle folle ...
A Gino Scarsi tutto il nostro sostegno. Morale, fisico, finanziario: siamo pronti a farci sentire e a contribuire alla sua difesa.
Perché se l'azienda davvero intende far tacere le voci libere della cittadinanza attiva, il problema ci riguarda tutti.
E questa causa deve essere una questione pubblica.
La Democrazia è affare nostro, di tutti.
Che anche le aziende ne siano informate ... Leggi il resto del articolo......
Gino Scarsi riceve una citazione per terrorismo ecologico
Proprio così; terrorismo ecologico e una richiesta di risarcimento danni pari a 50 mila euro ... L'accusa arriva dall'azienda di Canale (provincia di Cuneo) Vigolungo SpA, rivolta a Gino Scarsi, primo firmatario della nostra campagna nazionale per lo Stop al Consumo di Territorio, ai margini di una vicenda che aveva visto l'azienda protagonista della richiesta di autorizzazione di un impianto a biomasse. Le caratteristiche dell'impianto avevano subito fatto preoccupare i cittadini di Canale (e dei comuni limitrofi) e mosso una immediata azione "dal basso" per richiedere massima trasparenza all'iter autorizzativo e assoluta attenzione alla tutela dell'ambiente e della salute. Dopo lunghi dibattiti, la specifica Conferenza dei Servizi aveva bocciato la richiesta dell'azienda. Che, evidentemente, non deve averla digerita ...
Nella citazione, Gino viene accusato di essere colpevole di una campagna contro la Vigolungo finalizzata ad un puro interesse personale; secondo l'azienda, tutte le prese di posizione assunte nella vicenda da Gino sono state dettate da "evidenti e scontati motivi politico-elettorali" e "dall'esclusiva finalità di generare un bacino di consenso attorno alla propria persona anche a costo di generare un vero terrorismo ecologico" ...
Chi conosce Gino Scarsi sorriderà dell'accusa, che accusa resta pur sempre, in base alla citazione del Tribunale di Alba.
E chi ha seguito dal nascere la vicenda dell’impianto a biomasse della Vigolungo conosce la grande partecipazione di massa che ha coinvolto i cittadini di Canale e dintorni. Ben cinquemila firme raccolte a Canale e nel Roero contro la centrale. Tanti, tantissimi. Non soltanto … Scarsi !
L'accusa è talmente generica da farci stupire. E altrettanto irrisorie ci paiono le ulteriori "prove" che la Vigolungo SpA adduce per motivare le colpevolezze di Gino Scarsi.
Ad esempio le lettere pubblicate dal giornale "La Gazzetta d'Alba", in cui Scarsi riferisce che "le emissioni in atmosfera dei due camini alti trenta metri previsti a Canale possono interessare sino a otto chilometri di territorio coinvolgendo così i Comuni di San Damiano, Castellinaldo, Castagnito, Cisterna, Vezza Montà, Santo Stefano e Monteu Roero".
Oppure che "quelle due ciminiere sono due cannoni puntati su Canale e Roero" e che "è vero che le polveri pesanti le fermano con i filtri, ma quelle leggere ? Sono le cosiddette nanoparticelle impossibili da intercettare perchè si formano dopo i filtri invisibili e leggere che si disperdono a chilometri e chilometri e che la natura non riesce a metabolizzare. Entreranno subdolamente nella catena alimentare e se respirate dai polmoni passeranno direttamente nel sangue dando vita a focolai che sovente si trasformano in forme cancerogene nei vari organi. Il 10 % della popolazione è vulnerabile all'attacco delle nanopolveri e queste faranno danni ancora ai nostri figli e nipoti perchè sono persistenti e si trasmettono anche per via fetale".
L'azienda si scaglia anche contro un'affermazione di Gino apparsa su un giornale locale: "Vigolungo ha avuto nel tempo maestranze cinesi, mai uno sciopero" ed ha potuto godere di una "tolleranza complessiva su emissioni paurose". Frasi che nella citazione vengono così commentate dall'azienda: "Scarsi ha accusato direttamente Vigolungo SpA di sfruttamento della manodopera e di produrre emissioni contrarie alle legge, godendo di una non meglio precisata tolleranza da parte delle pubbliche autorità".
Il comportamento antisindacale è stato richiamato da Scarsi anche in altra occasione pubblica, in cui, parlando dell’affidabilità dell’azienda in rapporto ai materiali da bruciare nella futura centrale, ricordava sia l’aspetto positivo rappresentato dall’azienda nei cinquant’anni trascorsi, sia quello negativo: emissioni di fumi neri mefitici e atteggiamento antisindacale (licenziamento di una Lavoratrice della Vigolungo per il solo fatto di avere “fatto la tessera Cisl”).
Il 23 Marzo è prevista la prima udienza, la nostra sensazione è che l'azienda abbia intenzione di dimostrare ai cittadini che non è bene schierarsi contro le esigenze economiche di un gruppo imprenditoriale e che chi lo fa rischia in proprio: un modo cortese che ci ricorda tanto la sventagliata di un mitra sulle folle ...
A Gino Scarsi tutto il nostro sostegno. Morale, fisico, finanziario: siamo pronti a farci sentire e a contribuire alla sua difesa.
Perché se l'azienda davvero intende far tacere le voci libere della cittadinanza attiva, il problema ci riguarda tutti.
E questa causa deve essere una questione pubblica.
La Democrazia è affare nostro, di tutti.
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